Grazie HiO per la risposta.
Sì, diciamo che è un po' di tempo che cercavo di approcciare l'economia, e avendo un debole per le robe storico-genealogiche mi pareva che Polanyi (almeno nell'articolo che ho letto) avesse un po' un taglio di questo tipo rispetto al "market system".
Comunque visto che ci sono provo a riprendere un attimo il topic, vediamo se ce la faccio.
28/52
Ripartiamo con una lettura recente, un saggio abbastanza carino e non particolarmente impegnativo che mi ha accompagnato in spiaggia.
Michael Pollan è giornalista e insegnante universitario a Berkeley. Scrittore abbastanza prolifico, si occupa prevalentemente di temi riguardanti l'alimentazione e la botanica. Come stile siamo in quel taglio a metà tra la cronaca e il saggio scientifico (che io apprezzo molto) già visto con gente come David Quammen e Mark O'Connell.
Lo scopo del saggio è quella di analizzare e confrontare le diverse linee di produzione e consumo (negli USA, ma il meccanismo è affine nel mondo industriale) dei prodotti alimentari del mondo contemporaneo, indagandone i processi, le cause storiche, le criticità e la sostenibilità economica, salutistica e ambientale*. Il dilemma dell'onnivoro a cui si fa riferimento nel titolo è dovuto al fatto le specie di questo tipo (come noi), non essendo "costrette" ad un unico tipo di alimenti, si trovano a dover operare delle scelte continue relativamente alla propria dieta. Idealmente, la dieta onnivora costituisce un vantaggio evolutivo perché permette un grande opportunismo quando alcune risorse non sono disponibili (pensiamo ai topi); ma nel mondo contemporaneo l'offerta alimentare umana è talmente diversificata (in apparenza, come mostra il proseguo del saggio) ed elaborata da portare ad una situazione in cui per decidere cosa mangiare diventa quasi necessario doversi informare su come il cibo venga prodotto, a meno di non correre rischi per la propria salute (sia perché come onnivori necessitiamo di molti nutrienti diversi, sia perché la produzione del nostro cibo può risultare non idonea al nostro fabbisogno) o di consumare alimenti di cui non approveremmo i sistemi di produzioni se ne conoscessimo più a fondo il funzionamento.
Il libro si articola in 3 parti: catena industriale, catene del biologico (diviso a sua volta in due linee di produzione molto diverse, il biologico industriale e il "biologico" locale) e catena personale. Nelle varie sezioni, l'autore passa del tempo e lavora a stretto contatto con agricoltori, produttori e investitori, cosicché il libro si articola tra lunghe interviste, trattazioni di stampo più scientifico e analitico (sempre molto documentate) e riflessioni personali. A coronamento di ogni parte, un bel pasto con tutti alimenti derivanti dalla catena in esame, con dovizia di particolari.
La prima mostra il passaggio che porta dalla produzione (a monocoltura) del mais fino ai prodotti dei "normali" supermercati, passando per gli allevamenti intensivi (dove il bestiame è allevato nei feedlots con mangimi a base di mais e soia, per varie ragioni). La catena industriale è analizzata anche da un punto di vista storico e politico, mostrando come si sia potuta installare scavalcando i metodi precedenti e come sia favorita e difesa da una serie di provvedimenti politici quali forme di sussidio per i coltivatori di mais (che in realtà favoriscono ovviamente le multinazionali produttrici di prodotti a base di mais e la carne). Piccola gemma il capitolo dedicato alla storia e l'evoluzione del mais, molto dettagliato e ben scritto**, così come i paragrafi più scientifici dedicati ai fertilizzanti azotati.
Le seconda parte tratta prima del biologico industriale, cioé di quella produzione alimentare che sfrutta i processi e i metodi intensivi, ma si "premura" di utilizzare prodotti già presenti in natura, cioé non sintetizzati artificialmente (es. fertilizzanti naturali), sia per la coltivazione che per l'allevamento del bestiame. L'autore è molto critico di questa corrente perché, sebbene queste pratiche permettano di ottenere alimenti più sani (almeno più sani rispetto all'industriale standard) mantenendo produzioni molto efficienti, il bisogno di mantenere tali standard di produzione unito ad una regolamentazione volutamente permissiva su alcuni aspetti ha portato allo sviluppo di più di una criticità relativamente all'effettiva salubrità di certi alimenti, sul benessere degli animali impiegati*** e della sostenibilità dei metodi di produzione e trasporto****.
Si passa poi al locale (i nostri KmO, Slow Food, etc.), incarnati nella figura dell'eclettico Joel Salatin (coltivatore inventore e scrittore di molti libri), presso cui l'autore passa una settimana di lavoro. Qui siamo in sistemi che promuovo la policoltura e l'utilizzo attivo delle relazioni ecologiche tra le varie specie allevate e i terreni coltivati e lasciate ai pascoli, con interessantissime pagine dedicate ai rapporti e funzioni dei boschi per i pascoli, dei manzi per le galline e viceversa, dei maiali per il compost, etc. Non esattamente per persone sensibili la parte in cui racconta della macellazione dei polli, cui lui stesso sceglie di partecipare (con molta titubanza). Si vede abbastanza la predilezione dell'autore per questa catena di produzione, per vari motivi.
La quarta parte è quella un po' più debole, anche perché non si rivolge ad una catena vera e propria. Qui Pollan, con l'aiuto di alcuni maestri, cerca di ottenere le skills necessarie a preparare (dopo qualche mese), un pasto in cui tutti i prodotti siano il frutto di attività e "produzioni" personali: raccolta di funghi, coltivazione, fermentazione, caccia, etc. Insomma, una versione modernizzata e molto maldestra di Walden, che però ha il merito di essere abbastanza divertente, leggera e di avere comunque qualche riflessione interessante (quella sul vegetarianesimo un po' meno, ma il punto del libro era un altro quindi tutto sommato va bene).
In conclusione, è un saggio che consiglio soprattutto per l'analisi delle catene alimentari, che sono indagate attraverso tante lenti diverse e forniscono un bel quadro di insieme sulla questione. Nonostante la perorazione più o meno celata sul "locavorismo", su cui avrei qualche perplessità*****, la posizione dell'autore è comunque interessante e non inficia la ricezione del libro su quello che per me è il tema centrale: la consapevolezza alimentare. Pollan argomenta che il consumo di alimenti industriali si basa in realtà, per molte persone, su una tenace e indisturbata ignoranza (o autodifesa?) rispetto ai modi in cui tale cibo arriva nei supermercati e nei nostri piatti. Secondo l'autore, informarsi su tale questione non impone necessariamente alcuna specifica presa di posizione etica (cioè non sarebbe necessario diventare vegani o smettere di acquistare nei supermercati); anzi, secondo lui si può continuare ad essere "pienamente onnivori" proprio attraverso una maggiore consapevolezza del mondo in cui gli alimenti vengono prodotti, della relazione che essi hanno con la storia remota e recente della nostra specie, con gli ambienti in cui viviamo, con la nostra salute. Solo così, infatti, un onnivoro può sperare di poter prendere una decisione e "rispondere" al dilemma di cosa mangiare.
NOTE: