S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

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El Principe
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Re: S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

Messaggio da El Principe »

Il 60% delle servitù militari italiane si trova in Sardegna, il Friuli segue con il 30 e gli altri dieci sono divisi nel resto del Paese. Non ci sono fonti alternative, al di là di cosa si possa intendere per "più militarizzata", se conta il numero di caserme o lo spazio effettivo interdetto ai civili, che in Sardegna è il doppio del Friuli. Il poligono del Salto di Quirra-Perdasdefogu e il poligono di Teulada sono con immenso distacco i più grandi d'Italia, e sono le basi delle peggio malefatte. Ma anche se fosse stato il contrario, noi il 30 e loro il 60, non è una gara e non cambierebbe assolutamente nulla perché il punto del mio discorso era su altro. L'ho specificato chiaro chiaro qual'è la cosa che fa più male di quanto successo e succede a Teulada. Poi su Quirra ci arriveremo. Sempre solidarietà ai friulani che difendono la salute del loro territorio e si battono contro i danni della presenza militare invadente.



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Re: S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

Messaggio da El Principe »

Eh ma il vero punto della storia dei resti archeologici al poligono di Teulada non è l'inquinamento, così come non lo sarà (non solo, lì non manca nulla ma si farà un discorso più in profondità) quando parlerò di Quirra, e non credo sia il caso di ripetermi ancora. Anche se danni ambientali così gravi come quelli che ci sono stati a Perdasdefogu/Quirra, che hanno portato a morti, persone, fortunatamente per gli amici friulani da loro e nelle altre parti d'Italia non ci sono mai stati. Quello è un disastro che è successo solo qui.

Adesso basta sul serio, come detto da HiO nelle prime pagine non è cosa andare avanti con un ping pong infinito quando si è già ampiamente detto quello che si doveva dire e non si fa altro che ripetersi.

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Re: S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

Messaggio da El Principe »

Mi ero ripromesso di esaurire il filone dei danni, e anche di raccontare qualche rivincita, causati dalle servitù militari, ma la data di oggi (ieri n.d.r) mi obbliga a uscire da questo proposito e riprendere in mano i libri di storia. Storia sarda ovviamente, perché in quelli italiani non esistiamo.

Oggi, cioè ormai ieri, il 28 aprile, si celebrava Sa Die de sa Sardinna, "il giorno della Sardegna": festività ufficialmente istituità dal Consiglio Regionale nel 1993 per commemorare i cosiddetti "vespri sardi", o "rivoluzione sarda", della fine del 1700. Proprio il 28 aprile del 1794, infatti, ci fu uno degli episodi più significativi delle rivolte contro gli occupanti piemontesi, che culminò poi, il successivo 7 maggio, nella cacciata del vicerè sabaudo Vincenzo Balbiano, della sua corte e dei sui più alti funzionari, che furono rispediti in Piemonte.



Scusate se ci sono barriere linguistiche: learn sardinian now! Don't cheat with subtitles!


Un po' di storia allora. All'inizio del 1700, alla morte di Carlo II di Spagna, la Guerra di successione spagnola scuote l'Europa e le varie casate reali che avevano la pretesa di impossessarsi, ognuna per motivi diversi, del trono iberico. A noi, più che i fatti della guerra in sè, interessa soprattuto uno dei suoi esiti. Sulla base del trattato di Utrecht del 1713, che ha diviso diversi possidementi della Corona di Spagna nel Mediterraneo, e poi del trattato di Rastatt (1714), infatti, la Sardegna viene assegnata, insieme al Regno di Napoli e al Ducato di Milano, agli Austriaci della Casa d'Asburgo. La Sardegna era spagnola dagli anni 70 del 1400, quando era entrata in modo ufficiale nel Regno d'Aragona a seguito della sconfitta nella battaglia di Macomer (1478) dei sardi di Leonardo Alagon, marchese di Oristano e ultimo erede del Giudicato di Arborea, quello che era stato di Eleonora, appunto, d'Arborea. A proposito, e a margine, su di lei invece ci sono stati diversi tentativi di "appropriazione culturale" per farla passare come "italiana". Ma magari lo vedremo un'altra volta.

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Macomer, murale che ricorda quando, in un'infausta battaglia ai piedi del castello del celebre Monte 'e Macumele, la Sardegna perse un'Indipendenza che ancora ci manca

Tornando alla Sardegna austriaca (!), dopo la Guerra della Quadruplice Alleanza (1720) tra la Spagna e "le 4" (austriaci, inglesi, "olandesi" e duchi di Savoia), nel trattato dell'Aia i sabaudi subiscono uno sgarbo diplomatico non da poco e sono costretti a cedere il Regno di Sicilia agli alleati asburgici, per ricevere in cambio la Sardegna. Lo scambio era osteggiato e ritenuto impari dai piemontesi perché la Sicilia è più estesa come territorio, era più abitata e più ricca (quindi più tassabile) e con un casato reale molto più prestigioso e antico come valore simbolico della Corona in sè, mentre la Sardegna era considerata un possedimento periferico random della Spagna finito chissà come in possesso di Vienna. È con questa sorta di "vittoria mutilata", in cui i Savoia hanno dovuto cedere alle pressioni di Impero e Inglesi, che la Sardegna, suo malgrado e non voluta (tanto che Vittorio Amedeo II di Savoia proverà a cederla per avere “qualcos'altro”) diventa sabauda.

Ma perché, dopo 70 anni di dominazione, la tensione sociale e il malcontento diffusi in tutta l'Isola a tutti i livelli sono sfociati in un vero moto rivoluzionario? La cause sono diverse. Per prima cosa, i Savoia hanno sempre favorito i pochissimi grandi signori e alimentato il sistema feudale, rendendolo forte come non mai e “vendendo” titoli nobiliari ai ricchi feudatari, in cambio di soldi e garanzie legali. Le cose sono migliorate un minimo solo durante gli anni 60, con il regno di Carlo Emanuele III, più che altro grazie al conte Giambattista Lorenzo Bogino, nominato ministro per gli Affari di Sardegna, che seguiva la moda del sovrano “illuminato”. Per favorire l'alfabetizzazione, infatti, ha introdotto le riserve di grano pubblico da consegnare ai contadini che dimostrassero di aver studiato (i monti frumentari) e ha riavviato e razionalizzato le università di Cagliari e Sassari, fondate dagli spagnoli nel Seicento. Tuttavia, a lui si devono anche le prime forme di repressione culturale della lingua sarda, con le prime leggi (1760) che imponevano il divieto di ogni lingua locale, a discapito degli usati sardo, spagnolo e catalano (Alghero) nelle comunicazioni ufficiali e nelle pubblicazioni. Inoltre, ha continuato a tenere e proteggere i privilegi feudali e a reprimere nel sangue ogni tentativo, anche minimo, di protesta. Oltre ad aver tenuto viva una pratica che ha caratterizzato l'occupazione sabauda dal giorno uno continuata anche col Regno d'Italia: i rastrellamenti casa per casa, le devastazioni e gli omicidi fatti con il pretesto di combattere il banditismo.


Risale agli anni gli 90 del 700 la composizione antifeudale di Francesco Ignazio Mannu diventata inno della Sardegna.


Procurad'e moderare
Barones, sa tirannia
Chi si no, pro vida mia
Torrades a pés in terra
Torrades a pés in terra

Decrarada est giaj sa gherra
Contra de sa prepotentzia
Incomintzat sa passentzia
In su pobulu a mancare
In su pobulu a mancare

Con Vittorio Amedeo III di Savoia la repressione torna totale insieme alla massima pressione fiscale. Questo porta alle prime vere rivolte antifeudali e antipiemontesi organizzate, diffuse e partecipate, nel 1783. I moti vengono repressi nel sangue e alcune comunità vengono cancellate, soprattutto nel 1789, quando in molti paesi contadini e pastori si rifiutano di pagare ogni tributo. Negli anni successivi si inserisce un nuovo fattore: la diffusione delle idee della rivoluzione francese e la loro approvazione tra gli intellettuali e nelle classi borghesi, stufe dello strapotere dei funzionari del Regno e dei feudatari. Altra causa che scatenerà il malcontento, questa volta nei ceti elevati, è la mancanza di ogni sorta di premio o miglioramento delle condizioni dopo la difesa a oltranza delle coste dell'Isola dai francesi, che nel 1793 avevano attaccato La Maddalena partendo dalla Corsica (con un giovane Tenente Bonaparte) ed erano stati respinti a Palau grazie a una forte mobilitazione popolare. A seguito della vittoria, però, l'alta borghesia e i dirigenti sardi mandano con una loro delegazione a Torino le “cinque domande” al Re (ignorate), che in sostanza erano una richiesta di maggiore autonomia e di mantenimento dei privilegi e delle cariche piemontesi, che però dovevano essere affidate a sardi (a loro che erano aristocratici).

Immagine
Famoso disegno della cacciata dei piemontesi nei vespri sardi. Nello sfondo la Torre dell'Elefante di Cagliari

Nello stesso tempo, a parte dalle classi dirigenti sarde che volevano mantenere lo status quo, nelle campagne si sviluppa anche un movimento antifeudale davvero rivoluzionario e di stampo repubblicano che poi farà capo a Giovanni Maria Angioy, con tanto di occupazione dei campi e rifiuto di sottostare ai padroni, feudatari sardi o piemontesi che siano. E arriviamo al 28 aprile 1794, quando l'arresto pretestuoso di due militanti “sardisti”, gli avvocati Cabras e Pintor, ordinato dal vicerè Balbiano, fa scoppiare la rivolta a Cagliari. È la classica goccia che fa traboccare il vaso, perché il malcontento alimentato per anni dalla repressione savoiarda coinvolge, per i diversi motivi che si è detto, ogni classe sociale. La rivolta è totale e partecipata, tanto che i soldati piemontesi non possono fare nulla. È il giorno de “s'acciappa”, ovvero la cattura dei tiranni sabaudi. Mentre il 7 maggio successivo ci sarà la cacciata e l'imbarco forzato di Balbiano e dei suoi 514 più alti funzionari, tutti piemontesi. Sono i momenti che oggi, in diverse città, sono stati rievocati con rappresentazioni in costume. E vabbè poi ci sarà una sorta di “restaurazione” con prima una serie di concessioni di Torino agli Stamenti (parlamento sardo) e poi piano piano con l'invio di rinforzi militari e la solita repressione. Questa era la storia de “Sa die de sa Sardinna”. Poi altre cose le vedremo con la storia di Carlo “Feroce” Felice e altri singoli episodi eclatanti. Comunque questa è stata una rivolta importante perché ha, di fatto, portato alla nascita della “questione sarda” ed è stata chiarita ai Savoia l'esistenza di un popolo oppresso, con una sua forte identità, che non sempre è disposto a sottostare senza combattere. Ma, come vedremo, a Torino non lo dimenticheranno.


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Su patriota sardu: s'eroicu Zuvanne Angioy

Ci tengo, però, oltre a tutto a ricordare in modo particolare il succitato Zuvanne Maria Angioy, giurista nato a Bono nel 1751 e laureatosi a Sassari, che davvero ha provato a migliorare le condizioni dei sardi. Prima lo ha fatto entro i confini della legge come giudice della Reale Udienza e poi, mandato dal nuovo vicerè a trattare con i ribelli, ha invece fraternizzato con loro e sollevato la popolazione sia contro gli occupanti Savoia che contro i feudatari sardi nei moti di stampo giacobino del 1796. È stato poi, sfortunatamente, sconfitto e costretto all'esilio a Parigi, dove morirà nel 1808 in povertà estrema.


E dopo tutta la storia un mio piccolo pensiero, editoriale, su questo 28 aprile in particolare per i lettori o utenti sardi.

Belle le celebrazioni, le manifestazioni in costume e le parole. Ma, a parte rievocare la storia sulla quale si basa la festività e ricapitolare per l'ennesima volta, ma non fa mai male ricordarle, le malefatte dello Stato Italiano invasore come i danni e la beffa enorme della vertenza entrate e l'occupazione militare, ecco, quest'anno ancora di più voglio che "Sa Die" sia (anche se ormai mentre scrivo è finita) un'occasione per noi sardi per riappropriarci della nostra storia e non accettare più gli stereotipi che ci sono stati appioppati dai colonizzatori. E che anche gli stessi sardi, a volte addirittura con orgoglio (di sicuro ci sarò cascato anch'io mentre ero fuori) accettano. Basta con la Sardegna selvaggia, misteriosa, arcaica, dura, bandita. Basta con questo modo esotico con cui la Sardegna viene raccontata e si racconta. No, non si può più accettare questo orientalismo da due soldi, che per annientare e azzerare la nostra cultura ci ha lasciato fuori dalla storia mentre questa ce la scrivevano gli oppressori, per giustificare il loro opprimere imperialista. Proprio come hanno fatto gli inglesi nelle loro colonie: la Sardegna come l'Oriente mistico a cui portare la civiltà. Noi non siamo così, non siamo i banditi che uccidono i cinghiali a mani nude e fanno sesso con le pecore, come pensano in continente. Noi siamo gente come tutti, senza eccezionalismi o “durezza” in quanto sardi. Abbiamo una civiltà unica che viene snobbata volutamente e poi se "Ulisse" ne parla fa scalpore e in Italia si leva il grido "ah non lo sapevo". Strano. Basta con questa auto-colonialità per cui noi siamo i primi a considerarci vulnerabili e bisognosi di protezione e aiuto da parte di una potenza fraterna, che bontà sua ci ha escluso dalla sua storia che dovrebbe essere condivisa e ci ha inquinato e impoverito. Autodeterminiamoci!


Saludos e gratzias meda a chie este arribbatu annoche e s'ada lettu tottu s'istoria nostra chi appo iscritu.


Nuestra lucha es
para todos aquellos que hoy lloran la noche,
para quienes se niega el día.
Para todos la luz, para todos todo.

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Re: S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

Messaggio da Gsquared »

Potrei fare un post sostanzialmente identico per la liguria e i moti di Genova del 1849 e sarebbe altrettanto assurdo.
Sono passati 200 anni... e quei porci dei Savoia non sono più al potere da 75. Ne ė passata di acqua sotto i ponti

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El Principe
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Re: S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

Messaggio da El Principe »

Sì, ma il punto non era, e non è, rosicare su qualcosa successa oltre 200 anni fa. Si voleva raccontare da dove nasce la festa della Die de Sa Sardinna e, come conseguenza, alcune di quelle che sono le origini storiche e culturali dell'indipendendentismo sardo, che sono il tema del topic e che sono state proprio chieste.

Come ho già detto non è una gara a chi ha subito più ingiustizie, anche se in Sardegna non si è trattato di episodi singoli ma di un vero dominio col terrore e una repressione praticata con una continuità incredibile, come vederemo col "Feroce" al suo massimo, e continuata ben oltre l'Unità d'Italia. E questo perché? Perché oltre alla viva presenza già da secoli, almeno dal periodo giudicale, di una identità nazionale condivisa sarda, a Torino erano i primi a considerarci altri, un popolo ben distinto e separato, problematico e inferiore. E questo, ovvero come i sardi venivano definiti nei documenti e nelle leggi prima Sabaude e poi italiane, lo vedremo proprio citando e postando le immagini degli stessi scritti. Non penso che i genovesi e in generale i liguri venissero definiti altri, come un distinto popolo straniero di cittadini di serie b, e proprio a detta degli stessi regnanti. Anche questa è una bella differenza per rimarcare il carattere oppressore: i Savoia hanno dominato e represso quella che sapevano essere un'altra nazione distinta, che si sono ritrovati a controllare controvoglia, ed erano molto consapevoli di questo e lo hanno messo chiaro nero su bianco, non sono pensieri miei. Per questo dal 1720 si sono rafforzate le istanze indipendentiste, già presenti nel periodo spagnolo, e si sono messe le basi per una "questione sarda". Questo è.

E comunque è importante essere consapevoli delle proprie radici e avere memoria di sè e di quanto è successo e non farsi dettare passivamente la propria storia dagli altri. Altri che sono stati opressori, ma vincitori e quindi con un punto di vista diventato dominante. Non mi piace questa storia che ai soprusi dei Savoia dobbiamoo metterci una pietra sopra perché è passato tanto tempo, e a quelli recenti e di cui gli effetti si vedono ora come la vertenza entrate e le servitù militari ci mettiamo una pietra sopra perché eh vabbè, ormai è successo e che vuoi farci, spiaze, capita e la vita va avanti. E alla fine il minimo comune denominatore è sempre che ci si deve far passare tutto perché sì. E questo per me non concepibile.

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Re: S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

Messaggio da Gsquared »

Vittorio Emanuele II definì i genovesi "vile e infetta razza di canaglie" se per questo. E fidati che il sacco di Genova del 1849 non è proprio roba leggerina.
Ribadisco, l'unica differenza è che siete su un'isola, quindi ha avuto meno effetto il fenomeno della migrazione interna in italia. Ma non siete stati nè gli unici che hanno avuto delle fregature, nè allora, nè oggi, e non solo in Italia ma dappertutto. Posto che per me te stai facendo un botto di cherrypicking per farvi sembrare gli unici fregati del paese.

Ma invece si, cazzo, il fatto che sia passato tanto tempo cambia decisamente tutto. Sennò veramente, se rimuginiamo su ogni stronzata fatta da una parte o dall'altra negli ultimi cinquecento anni, credo che ci ritroveremmo tutti a farci la guerra da un palazzo all'altro.

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Re: S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

Messaggio da El Principe »

Ma cherrypicking dove esattamente? Io ho parlato delle cose nostre perché il topic è su quello, non sui crimini dei Savoia o dei regnanti in genere. Non ho fatto paragoni su come sono stati trattati gli altri rispetto a noi e non mi è mai interessato farli. Che avrei dovuto dire raccontando il 28 aprile? Specificare che oltre ai moti di Cagliari poi ce ne sono stati altri per altri motivi in altre città dunque ok era normale? No, io mi sto nel mio. Anzi, a chi ha fatto i paragoni ho detto che più ingiustizie non fanno giustizia e, ancora, che non è una gara. Solo se devo raccontare le ragioni storiche dell'indipendentismo, che è il tema del thread, che faccio? Ignoro uno dei passaggi storici chiave del consolidamento delle istanze indipendentiste?

Non è un rimurginare su nulla, non è che mi piacerebbe avere una Sardegna indipendente perché i sardisti di Angioy sono stati giustiziati a Sassari nel 1796 e rivendico quello. No, è perché dopo un'esperienza molto negativa di centinaia di anni di sopraffazione su un popolo e una situazione generale in peggioramento galoppante, non vedo altra soluzione rispetto all'autodeterminazione per migliorare un minimo, salvare la nostra identità e non affondare direttamente nel Mediterraneo.

Si continua a contestarmi con "eh ma è passato tempo", "eh ma vi attaccate ai soldi", "eh ma anche altri", quando il punto vero, come sui nuraghi bombarbati, è un altro, e quando se ne parlava su Teulada, infatti, è stato bellamente glissato. È il fattore socio-culturale,il sentirsi altri ed esclusi, per cui in 300 anni e in continuità totale, siamo sempre stati disprezzati e tenuti fuori da qualsiasi storia comune di paese. Perché dovremmo essere belli felici di essere italiani se l'Italia in primis non ci ha mai voluto e, anzi, ci ha ostacolato e alienato? O per voi la storia della sardegna e la sua cultura sono sempre state trattate con rispetto e valorizzate? E Lasciando proprio perdere la quantità di soldi, della vertenza entrate, non vi sembra un'umiliazione enorme solo la catena di fatti che l'hanno creata? Per me queste domande rappresentano bene la voglia di escluderci e l'ostilità che si è sempre avuta contro la mia Isola, e ancora non capisco perché dovrei farmele andare bene. Se non perché altri nel mondo subiscono o hanno subito ingiustizie dunque ok, di che mi lamento, poteva andare peggio.

E la grande differenza, che fate finta che non esista, è, ripeto, che da noi c'è un sentimento condiviso di nazione sarda (con la definizione di nazione detta nelle prime pagine, in sintesi: persone accumanate da fattori di lingua, cultura, storia, socio-economici etc...) anche senza stato, che è innegabile ed esiste da secoli. Tanto che, come detto, in epoca giudicale eravamo indipendenti da qualsiasi entità continentale, con il sardo che si parlava allora che è quasi uguale a quallo attuale, 700 anni dopo. Poi siamo stati conquistati da potenze più forti e annessi a questo o quel Regno, ma intanto l'idea di essere un popolo unico c'è sempre stata e si è manifestata con ribellioni continue (nella quali i sardi con autocoscienza si organizzavano definendosi sardi contro gli occupanti) verso gli invasori spagnoli prima e piemontesi poi. No, ma sembra quasi che l'Idea di nazione Sardegna non sia mai esistita, un falso storico, e sia invece un'invenzione attuale, quasi quasi mia proprio, sul modello leghista padano e su quello dei nazionalismi razzisti, quando è l'esatto contrario. L'Abruzzo, L'Emilia-Romagna, il Meridione (tutte le regioni insieme o separate: fate voi) e chi volete, non hanno un'idea di sè come nazione che esiste da secoli. Per cui un Abruzzo che da domani si vuole indipendente o le invenzioni di entità storica padane non hanno senso. La coscienza comune è alla base perché possano esistere istanze indipendentiste, senza non si può aspirare a nulla. Poi se qualcuno vuole negare l'esistenza di questo sentimento sardo secolare perché il solo pensiero gli urta l'anima io non ci posso fare nulla, ma la storia è quella.

È questo sentimento di appartenenza e di memoria comune esiste anche adesso ed è ancora forte. Meno rispetto ad un tempo a causa dei decenni di bombardamento anti-cultura sarda, in particolare a fine 800 e nel secondo dopoguerra, e per alcuni il massimo in cui si esprime è una maglietta con i quattro mori e un portachiavi, ma intanto c'è, è in ripresa netta e sarebbe molto più forte se la gente non ignorasse, nel senso che proprio non sa che siano esistite, molte cose.

Io non capisco perché questi sentimenti di autodeterminazione dei popoli vi spaventino così tanto. Nemmeno Wilson a Parigi nel 1919 aveva trovato così tanta ostilità a questo principio da parte degli Stati nazionalisti.

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Re: S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

Messaggio da El Principe »

A parte le battute da Biscardi, anche basta: da adesso le accuse di razzismo, se non accompagnate da quote miei incriminanti e molto ben motivate, saranno considerate per quello che sono: offese molto gravi. Con relative conseguenze.

Ho già detto e spiegato in un milione di battute di rispettare qualsiasi forma di autodeterminazione e di essere contro ogni eccezionalismo e nazionalismo razzista e centralista. Non rispetto le robe fasulle senza fondamento storico/culturale come la Padania o pagliacciate ugualmente forzate a livello storico/sociale come i Neoborbonici (non esiste alcuna cosienza di popolo neoborbonico, credo sia assodato). Metterle insieme a movimenti indipendentisti come il nostro, quello corso, scozzese, catalano, basco etc.., che hanno basi culturali, sociali e storiche solidissime di secoli, è una generalizzazione ignorante e priva di onestà intellettuale, credo che sia chiaro a tutti, e per me finisce qui.

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Re: S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

Messaggio da El Principe »

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Re: S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

Messaggio da El Principe »

Il 9 giugno del 1969 la popolazione di Orgosolo inizia una ribellione contro lo Stato e l'Esercito italiano che, in poco meno di due settimane, porterà i militari a desistere dai loro propositi e lasciare il paese. È la rivolta di Pratobello: un grande esempio di resistenza non violenta contro l'invasività delle servitù militari in Sardegna.

NOTA: Specifico fin da subito che non mi auspico che l'Isola diventi indipendente perché 53 anni fa gli abitanti di un paesino del Supramonte si ribellarono allo Stato, che ci sono state altre proteste non violente anti-militari e va benissimo, non voglio fare paragoni con nessuno e restare in topic, visto che ogni contesto è molto differente. Ma, proprio come le vicende che hanno portato alla commemorazione del 28 aprile come “Sa die de sa Sardinna”, si tratta di una tappa storica importante nella storia dell'indipendentismo sardo, celebrata ogni anno ancora oggi con rappresentazioni e marce in memoria, e della lotta contro le servitù, quelle sì la morte del nostro ambiente e dignità. Non fu una semplice protesta in seguito a un torto, ma anche allora ci fu la chiara presa di coscienza della gente di stare combattendo, da sardi (con l'autocoscienza di popolo), contro le imposizioni ingiuste di un'invasore considerato da tutti straniero e che da decenni aveva un rapporto molto conflittuale e di subalternità con la popolazione della zona, poiché la pastorizia era considerata banditismo e quindi da estirpare.

Inoltre, questa storia fa parte del filone sulle servitù militari e, prima di parlare del disastro di Quirra, direi di dare un taglio alle lamentele per i torti subiti passivamente perché per una volta hanno avuto ragione i sardi.

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IL CONTESTO STORICO


Il 27 maggio del 1969 la popolazione orgolese viene avvisata che i pascoli comunali della zona di Pratobello, tra Orgosolo e Fonni, dovranno essere sgombrati perché sarà allestito un poligono militare ad uso della Brigata Trieste. Nella zona c'erano già state della basi temporanee, per poche settimane, ma la cosa era stata assorbita senza particolari proteste, seppur a malavoglia. Questa volta, però, nonostante le promesse di smobilitazione una volta terminate le esercitazioni, gli abitanti della zona non si sono fidati. A parte il malcontento che già montava per la militarizzazione di Teulada e Quirra negli anni 50, in questo senso la costruzione qualche anno prima di un villaggio (appunto di Pratobello) per far alloggiare i militari e le loro famiglie non era un buon segno sulla temporaneità della cosa. I pastori, a ragione, erano certi che, in cambio dei pochi soldi di risarcimento per quelle che sarebbero dovute essere poche settimane di occupazione, non sarebbero mai più tornati in quei terreni comunali, a regola destinati solo a uso civico, e nessuno nella comunità l'avrebbe potuto accettare. Anche perché, come dicono gli stessi protagonisti della rivolta nelle interviste, avevano visto come erano state preparate le esercitazioni brevi le volte scorse e per loro era chiarissimo come, questa volta, i militari fossero arrivati per restare.

Occorre fare un po' di contesto storico. Sono gli anni delle rivolte del 68, che in Sardegna si sono manifestate più nelle zone dell'interno, dove per decenni in nome della lotta al banditismo lo Stato si era imposto in modo violento fino ad arrivare a un vero e proprio conflitto tra la popolazione e “sa zustissia”, le forze dell'ordine temutissime e di cui nessuno si fidava visti gli arresti sommari e le torture denunciate dai pastori che venivano detenuti. In più, da anni gli amministratori locali della zona denunciavano uno stato di abbandono da parte delle istituzioni, accusate di non fare nulla per provare a migliorare un minimo le condizioni di vita e, anzi, di favorire lo spopolamento. In questo senso, qualche anno prima, aveva fatto scalpore la protesta di Michele Columbu, sindaco del mio paese (Ollolai) e poi eurodeputato. In spoiler, perché il forum mi rovina i topic, la testimonianza di Tziu Micheli (foto sotto).

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Per gli stessi motivi per cui Columbu si era messo in marcia, proprio a Orgosolo, alla fine del 1968 la giunta comunale era stata destituita, quindi il Comune non ha potuto fare nulla per opporsi all'esercito che è arrivato e allestito l'area, di fatto, senza il permesso di nessuna autorità della zona al di là del prefetto di Nuoro. L'allontanare i pastori dalla campagne, in effetti, era un obiettivo dichiarato da tempo dallo Stato italiano. Anche messo nero su bianco: a inizio anni 70, in un rapporto della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla criminalità in Sardegna, presieduta dal democristiano Giuseppe de Medici, la pastorizia sarda, così lontana dalle moderne tecniche zootecniche, viene definita “una fucina di banditi” da eliminare. E il sistema scelto per civilizzare la “Barbagia terra di banditi” è quello di costringere i giovani del centro Sardegna ad abbandonare i pascoli per diventare operai di un impianto industriale da costruire ad hoc, proposto dalla stessa Commissione nello stesso documento. Subito dopo, infatti, grazie a finanziamenti statali arriveranno le industrie chimiche e pesanti nella regione storica del Marghine nella piana, tra gli altri, di Ottana, Bolotana, Noragugume e Dualchi. Un mossa che, nel brevissimo, ha portato occupazione, ma il sogno è durato poco (perché non poteva e non può essere intuitivo fare fabbriche del genere nel mal collegato centro della Sardegna) e ha lasciato inquinamento e declino socio-economico le cui conseguenze si vedono oggi. Infine, nello stesso periodo le proteste delle comunità montane della Barbagia avevano fatto accantonare il piano per l'Istituzione del Parco del Gennargentu, che avrebbe reso inagibili ai pastori enormi aree vitali per la transumanza e il pascolo nei boschi. Un progetto finto ambientalista e solo, stando a un rapporto del tempo, un modo per chiudere e controllare il territorio.

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Tutte queste situazioni avevano creato una sfiducia profonda verso le istituzioni statali e una tensione crescente. Nota a margine, ci tengo a specificare che non intendo ridimensionare il fenomeno del banditismo sardo. Non difendo che si è macchiato di crimini, dei sequestri e tutto il resto e non ne vado fiero, di loro e della "cultura della balentia" con tutti gli stereotipi odiosi che si portano dietro, che ci hanno appioppato in Italia e che non ci identificano per nulla. Erano una minoranza di gente che tutti sapevano essere poco di buono (in paese ne abbiamo avuto uno nel 900, di bandido propriamente detto) ma piuttosto che per gli invasori oppressori in divisa de carabineris la gente simpatizzava per loro, questo sì.

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ORGOSOLO 69: I FATTI


Ma perché sos pastores orgolesos non potevano correre il rischio di perdere i terreni demaniali? Semplice, per tantissimi erano l'unica fonte di sostentamento e il loro esproprio avrebbe significato pagare cifre astronomiche ai pochi proprietari grossi, che in pochissimi si potevano permettere. Avrebbe portato all'abbandono delle campagne, ma però in alternativa non c'erano prospettive. Per questo nel pomeriggio del 9 giugno 69 tutta la comunità unita (pastori, studenti, donne, giovani, artigiani, manovali) sale ai campi e li occupa, mentre solo il candidato della democrazia cristiana, Gonario Gianoglio, prova a convincere senza successo almeno le donne dell'Azione cattolica a desistere. Lo stesso Gonario aveva provato a mettersi d'accordo con i pastori più grandi e dividere il movimento, ma le trattative saltarono perché poi nelle assemblee popolari la gente rimase compatta nella solidarietà collettiva. Nei giorni successivi, secondo le testimonianze dei protagonisti, nei paesi vicini di Mamoida, Fonni, Oliena e Gavoi vengono affissi, dalle forze dell'ordine locali col supporto dei governanti DC, dei manifesti di saluto alla Brigata Trieste e di come i 6000 soldati porteranno prosperità. Propaganda di poco effetto per isolare Orgosolo. Intanto i giornali isolani, l'Unione Sarda e la Nuova Sardegna (al tempo entrambi di proprietà un lombardo avventuriero industriale della chimica a Porto Torres, il lobbista Nino Rovelli) definiscono i 3500 orgolesi “un manipolo di maoisti e teppisti armati”, tipo quelli della foto sotto.

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La “lotta” entra nel vivo il 19 giugno, quando la popolazione, soprattutto le donne (sas tzias), blocca la strada e parla con i soldati per farli tornare indietro: la prima colonna di camionette è costretta a fare retromarcia. Anche nei giorni successivi un cordone di cittadini impedisce l'ingresso dei militari nella zona contesa, senza farsi intimidire nemmeno dal volo basso degli elicotteri. Ovviamente i pastori usano a loro vantaggio la conoscenza perfetta del territorio per spostare ingressi, cancelli, confini e frasche e confondere ulteriormente i militari, di per sè poco motivati e/o giovani reclute. I bambini vengono mandati a disattivare le linee telefoniche. Ma oltre queste cosette non si va e tutti stanno molto attenti affinché nessun soldato venga aggredito: la resistenza si fa con la sola presenza e non si risponde alle provocazioni. Il deputato del Pci Pietrino Melis e Gianoglio riescono a far sospendere le esercitazioni per qualche giorno, anche se intanto da Roma sono stati mandati i, per i sardi famigerati, Caschi Blu del reparto anti-banditismo della polizia.


È a questo punto, quando siamo nel 23 giugno e i civili barbaricini occupano quelli che dovrebbero essere i bersagli dei colpi di mortaio, che iniziano gli arresti e i pestaggi su qualche manifestante più sboccato. Il giorno dopo succede lo stesso, con qualche sparo a vuoto (lato soldati), qualche granata fatta esplodere (nessun ferito) e 400 persone detenute in un punto di raccolta organizzato dai Caschi. La lotta inizia a creare scalpore anche a livello nazionale: sindacati e movimenti di sinistra appoggiano i pastori e condannano le violenza della polizia. Emilio Lussu, padre costituente, sardista federalista (non indipendentista) e, per me, insieme a Gramsci uno dei sardi più ammirevoli della storia, invia una lettera di solidarietà agli orgolesi, dicendo che sarebbe arrivato da loro se non fosse stato per le sue precarie condizioni di salute.

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EPILOGO

Dopo il 25 una delegazione del paese mandata a Roma a discutere con il sottosegretario alla difesa Cossiga, su cui preferisco non esprimermi, torna con la rassicurazione del ministro della Difesa Luigi Gui: i militari se ne sarebbero andati. Dal 27 gli animi tornano più sereni e gradualmente i soldati abbandonano la zona per non tornare più. Pratobello rimarrà, e lo è tutt'ora, un villaggio fantasma che in questo periodo dell'anno i cittadini di Orgosolo visitano per festeggiare "l'impresa", con i “reduci” che raccontano di quella volta che sconfissero lo Stato. Inoltre, proprio a partire dal 1969 comparvero nei muri del paesino i primi murales, adesso caratteristici e attrazione turistica. Quasi tutti sono a tema storia della Sardegna (abbiamo visto in questo topic quello con Angioy, oltre a quelli sopra) e su istanze sardiste. I primi, ovviamente, erano proprio sulla rivolta di Pratobello, quando per una volta l'esercito italiano si arrese alla volontà dei sardi che, insieme uniti nella solidarietà come mi auspico succeda di nuovo, hanno resistito all'ennesima ingiustizia.

Come fonti, oltre a libri e documentari prodotti in tutta Italia, ci tengo a citarvi le ricostruzioni del giornalista Piero Loi e questo documentario che si trova su YouTube, fatto solo di testimonianze di cittadini che hanno partecipato. Parlano quasi solo in sardo, ma per fortuna vostra ci sono i sottotitoli.
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Ultima modifica di El Principe il 02/11/2022, 12:23, modificato 1 volta in totale.

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Re: S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

Messaggio da El Principe »

A Quirra non si sa chi sia Stato. Anzi meglio: non è Stato nessuno

Centinaia di morti tra gli abitanti della zona, tra i dipendenti e i militari della base, un'incidenza di tumori e leucemie fuori da ogni scala, falde e terreni inquinati per sempre e animali nati deformi, malati, morti. Quello del Poligono Interforze di Quirra è il più grande disastro da inquinamento militare in Europa, ma per l'Italia non ci sono prove di reati e anzi non c'è mai stato alcun disastro. Tutto normale, tutti assolti e buona carriera militare. Evidentemente, anche per il giudice il tutto potrebbe essere causato dal fatto che “si sposano fra cugini ma non si può dire, sennò si offendono i Sardi”, e non dobbiamo dimenticare come "il fondo naturale", le rocce, della Sardegna siano naturalmente "ricche di agenti inquinanti". Insomma che volete farci, non è colpa di nessuno, forse un po' del caso e del luogo, ma di certo non delle esercitazioni militari e dei poligoni di sperimentazione e smaltimento. Continuate a leggere per capire di cosa parlo, perché finally the megapost about Quirra as come to the Italia est su nemicu topic.

I VELENI DI QUIRRA


Questa è la storia del disastro di Quirra, ovvero come lo Stato si sia autoassolto da ogni responsabilità per gli enormi danni arrecati alla Sardegna e alla sua gente a causa delle servitù militari. Morte, devastazione e impunità sono gli ingredienti dell'ennesima umiliazione di un territorio e dei suoi abitanti, come vedremo. Poi in seguito vi parlerò un po' anche dei danni ambientali dei poligoni di Capo Frasca e di Teulada, dopo che in quest'ultimo avevamo visto (pagina 7) i bombardamenti e la vandalizzazione dei nuraghi e di altri resti archeologici e le giustificazioni dell'Esercito italiano, ancora più gravi dei danni in sè (per i quali, ricordo, nessuno ha pagato).

Ricordo che qui abbiamo il 60% di tutte le basi militari italiane (il 30% sono in Friuli e il resto sparso in tutto il territorio) e siamo la regione più militarizzata d'Europa. Servitù militari così invadenti e le conseguenze che hanno avuto sono uno dei simboli principali del rapporto di subalternità tra lo Stato italiano e la Sardegna e i sardi, visto che oltre alla devastazione fisica si aggiungono le umiliazioni morali, come è quella di non ottenere giustizia.

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PREMESSA SUBITO

Da sardo non posso accettare tutto questo. Rifiuto il ruolo attribuitoci dall'Italia: quello di campo di addestramento, di portaerei continentale, di fabbrica e test zone dove vale tutto, perché tanto anche il più grande disastro mai visto non si può imputare all'Esercito. Non possiamo permettere di essere usati dalla NATO e non vogliamo che Israele provi da noi le bombe che lancerà a Gaza. Vogliamo la fine immediata delle esercitazioni, la dismissione di tutti i poligoni e le basi, la bonifica delle aree e la restituzione del territorio alla Sardegna e ai suoi abitanti. Per ottenere tutto questo non può esserci altra via che ottenere l'indipendenza dall'Italia. Non solo perché questi disastri a disprezzo nostro ci sono stati, ma soprattutto perché non si ripetano più. Per questo porto questa storia e le altre sulle servitù militari nel topic.

Ovviamente ricordo la mia piena solidarietà anche ai friulani che difendono la salute del loro territorio e a chiunque si batta contro l'invadenza della presenza militare. Non rivendico nessuna specialità dei sardi e del trattamento che dovremmo ricevere, ricordano quanto scrissi nella seconda riga di questo topic. Il mal comune non è gaudio di nessuno e non può essere usato per giustificare nulla. Specifico anche che, nonostante il mio anti-militarismo, non ce l'ho assolutamente contro i singoli soldati, anch'essi vittime in questa storia.

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IL POLIGONO


Quirra è una Regione storica della Sardegna situata a Sud e nella costa Est, sotto l'Ogliastra. Nel territorio del Comune di Perdasdefogu, dal 1956, c'è il Poligono sperimentale e di addestramento interforze del Salto di Quirra. Con i suoi quasi 13mila ettari di estensione, in cui non si considerano acque interdette nelle operazioni (in genere 20mila kmq), è il poligono militare più grande d'Europa. Come dice il suo stesso nome, una delle mansioni principali della base è proprio la sperimentazione di nuove armi, dell'esercito italiano ma anche di quelli dei paesi Nato e di Israele. In passato anche l'esercito di Gheddafi ha fatto test nel poligono. Oltre ai militari, fanno prove anche le aziende private, attive in campo bellico ma anche spaziale, meccanico, chimico etc.. Nella zona vengono smaltite anche munizioni e bombe "scadute" provenienti da tutta Italia. Stando alle prove raccolte dal Procuratore che ha fatto partire le indagini, questi scarti venivano usati come bersagli su cui testare le armi nuove. In particolare, dagli anni '80 al 2003 nel poligono sono stati provati e smaltiti migliaia di missili anticarro francesi "Milan" (come provato da atti della Procura di Lanusei), una delle armi più nocive e inquinanti a causa del torio radioattivo contenuto in alcune sue parti. Il grosso dei danni a cose o persone è stato fatto proprio da componenti radiottivi dei sistemi missilistici, e non dall'uranio impoverito, usato solo nei piccoli calibri assenti a Quirra. Dal 1956 non c'è mai stata nessuna bonifica seria, sia nel mare più vicino alla base, i cui fondali sono una discarica di residui bellici, che nei terreni. Come riferito da numerose testimonianze di ex militari della base, poi ammalatisi e alcuni deceduti, l'unica bonifica veniva praticata dai poveri cristi in servizio, mandati a raccogliere resti di proiettili, razzi, mezzi etc.. senza alcuna protezione. Mancata tutela della sicurezza del personale era anche una delle accuse fatte ai comandanti.

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PASTORI E LINFOMA DI HODGKIN, È LA SINDROME DI QUIRRA


Le morti sospette sono iniziate abbastanza presto, ma dagli anni '80 la situazione è degenerata. Nelle carte portate poi dall'accusa al processo contro i comandanti della base si parla di "solo" 20 civili e 23 militari deceduti di leucemia di cui si è potuto provare con relativa certezza un collegamento con l'attività del poligono (e basterebbero già queste 43 vittime per essere un disastro). Ma, secondo i comitati le morti invisibili sarebbero molte di più, nell'ordine delle centinaia. Nonostante il piccolo numero di abitanti del paese e in generale della zona, infatti, tutti ma proprio tutti là hanno almeno un parente/amico che si è ammalato o ha perso la vita per la "Sindrome di Quirra". Si tratta dello stesso tipo di tumori che hanno colpito i militari di ritorno dai Balcani, a causa dei bombardamenti della Nato del 1995 e 1999 su Bosnia Erzegovina, Serbia e Kosovo, con proiettili all'uranio impoverito. La commissione d'inchiesta sulle morti di personale militare all'estero o nei poligoni per esposizione a sostanze mortali, della Camera e aggiornata al 2017, cita circa 170 casi molto sospetti collegati alla base. Quello che leggendo l'elenco balza all'occhio è proprio la grande presenza di casi di linfoma di Hodgkin, una delle neoplasie più rare in assoluto. È diffusa quasi solo tra i militari in concedo, ma a Quirra per lo più colpisce civili come pastori e casalinghe. Che qualcosa non andasse era chiaro, ma c'è voluto un po' prima che, solo nel 2000 circa, ci si accorgesse dell'altissima incidenza di tumori, anche rari, in una popolazione così piccola e si iniziassero a creare movimenti di protesta.

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"I TANTI TUMORI? PERCHÈ I SARDI SI SPOSANO TRA PARENTI, MA SE LO DICI SI OFFENDONO"


Subito dai primi anni 2000 i comitati di cittadini hanno iniziato a denunciare la situazione e a provare a fare una sorta di censimento delle morti o dei malati sospetti nei decenni precedenti, con possibili legami con la base (come giovani pastori con pascoli confinanti le aree interdette morti per neoplasie), e a segnalare i tanti casi di animali nati con malformazioni. Insieme agli abitanti della zona hanno iniziato a farsi sentire anche le madri dei militari malati e morti che avevano prestato servizio nel poligono. La storia, per un breve periodo, ebbe un piccolo clamore mediatico e qualche testata, per lo più straniera, inizio a interessarsi. Ovviamente, così come nel caso del militare che per i nuraghi di Teulada si domandava se fossero davvero di valore storico/culturale, anche questa volta il comandante, chiamato a commentare le notizie, non ha potuto esimersi dal dimostrare quanto bene vengono considerati i sardi e la loro cultura dai vertici dell'esercito. Il generale Malteni, a capo del poligono nella metà degli anni 2000, infatti, ha spiegato l'incidenza di tumori nella zona dicendo che fosse causata dal vizio dei sardi di sposarsi tra parenti. Lo ha fatto in un fuori onda durante un'intervista con una TV Svizzera. Ma non credete a me, sentiamolo da lui: "È che non lo vogliono dire" cit.

TORIO RADIOATTIVO NELLE OSSA DEI PASTORI MORTI

L'inchiesta parte solo tra il 2010 e il 2011 grazie agli sforzi del PM di Lanusei Domenico Fiordalisi, per i reati di disastro ambientale e omicidio plurimo. Vengono iscritti al registro degli indagati in 20 tra militari di vario grado, docenti universitari, tecnici e il sindaco di Perdasdefogu (come abbiamo visto nelle proteste di Pratobello le istituzioni hanno spesso difeso le servitù militari), anche per di omissioni, favoreggiamento falso ideologico etc. Nel corso delle indagini il PM fa analizzare i tessuti degli animali nati deformi e scopre, nei linfonodi, nanoparticelle metalliche la cui presenza, secondo il suo poll di esperti, sarebbe da ricondurre allo smaltimento dei "Milan". Fiordalisi fa anche riesumare i cadaveri di 18 pastori "morti sospette", nelle cui ossa i consulenti scientifici hanno riscontrato valori altissimi, sei volte il limite, proprio di torio, oltre che di altri materiali pesanti (nota: questi 18 non sono tra le 43 vittime "ufficiali"). Secondo l'esperta chiamata per il caso della Procura, la dottoressa Maria Antonietta Gatti, non ci sono dubbi sulla provenienza militare delle nanoparticelle incriminate, viste le concentrazioni di piombo e tungsteno che, secondo i suoi studi, sono rilasciate dalle esplosioni di bombe e razzi. Altri scienziati interpellati dal PM, come il professor Rizzini, fisico dell'Università di Brescia, hanno confermato la pericolosità dei fumi rilasciati dalle esplosioni. Secondo l'accusa, visto il forte vento della zona, la causa principale dell'inquinamento mortale sarebbero proprio queste nubi tossiche disperse nella zona. Il PM contesta agli indagati anche la mancata interdizione delle aree dei test.

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L'ESPERTO DI MILANO: NESSUN DISASTRO, ROCCE SARDE "NATURALMENTE" RICCHE DI TORIO

Alla fine, nonostante tutte queste prove e le decine di testimonianze di militari e civili, in fase di udienza preliminare il GUP Nicola Clivio ha derubricato le accuse solo a "omissione aggravata da tutele contro infortuni e disastri" e rinviato a giudizio, nel 2014, solo 8 degli indagati. Tutte le accuse sui danni ambientali e sulle morti quasi spariscono di colpo su decisione del GUP. È questo perché il giudice ha preso per buona, anzi, buonissima, una contestata relazione del professor Mariano Mariani del Politecnico di Milano, su cui si baserà tutta la difesa degli accusati, richiesta molto a sorpresa proprio dallo stesso GUP. Secondo il professore non ci sarebbe mai stato un disastro ambientale perché, citando la sua relazione: "La presenza di metalli pesanti e agenti inquinanti (trovati nelle indagini del PM) è riconducibile al fondo naturale sardo, ossia alla composizione specifica dei suoli e delle rocce della Sardegna". Insomma, secondo Mariani, citando gli avvocati dei militari: "La Sardegna è una regione antica e mineralizzata, dove minerali e metalli pesantI come l'uranio e il torio sono presenti in modo naturale". Inutile dire che la difesa ha avuto gioco facilissimo a dire che il processo stesso non sarebbe mai dovuto partire in quanto "non c'è disastro ambientale". Sulla questione della mancata interdizione i legali dei militari hanno affermato che la legge non prevede di chiudere la zona "se non nella testa di Fiordalisi".

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TUTTI ASSOLTI: UNA SCONFITTA PER LA SARDEGNA E PER LA MEMORIA DELLE VITTIME

Il 10 novembre di un'anno fa gli otto, tra cui Malteni, sono stati assolti in primo grado. La motivazione: "Manca la prova idonea che gli imputati abbiano commesso il fatto contestato". E per fatto contestato si intende le tutele sul personale della base, anche se i militari malati sono stati tutti sentiti in aula. Dopo la decisione del GUP di "deponziare" le accuse nessuno si aspettava un esito diverso. Le associazioni ambientaliste, i comitati e le associazioni dei parenti dei militari, provenienti da tutta Italia, avevano capito da tempo come il processo fosse diventato una farsa apparecchiata per l'autoassoluzione dei responsabili. Una pantomima resa già palese dal fatto che la relazione di Mariani, contestatissima da un'infinità di parti, sia stata eretta dai giudici, non si perché, a prova suprema e in sostanza il disastro ambientale non è mai esisto alla faccia di tutti beacuse Mariani said so. E tutte le testimonianze, i test, le relazioni della valanga di professori chiamati da tutta Italia da Fiordalisi non contano nulla, cestinate. Intellettuali da tutta Europa lo hanno definito un processo politico farsa. Un'offesa a tutte le vittime e ai loro parenti, che per il momento non hanno ottenuto giustizia e credo che mai la otterranno.

Dopo tutto questo, a luglio, il nostro presidente campione di autocolonialità Solinas che cosa ha fatto? Ha rinnovato il disciplinare d'uso al Poligono. Queste le sue belle parole vuote in rigoroso politichese: “Favorire gestione armonica della presenza militare in Sardegna e sviluppo dei territori con attività di ricerca e innovazione, in virtù della innata propensione sperimentale e duale del poligono, compatibilmente con le prioritarie esigenze addestrative, la Regione Sardegna e la Difesa promuovono lo sviluppo di programmi di studio, ricerca e sperimentazione tecnologico industriale di possibili attività duali di comune interesse da realizzarsi presso il poligono, quali cyber-defence, cyber-security, modeling & simulation, scuola di protezione civile, attività nel settore aerospaziale a sostegno delle politiche nazionali di ricerca e sviluppo, attività di sperimentazione, certificazione e training di droni”.


L'armonia che solo le esplosioni di missili che rilasciano torio radioattivo può portare.

Vi linko questo reportage molto buono della ABC che riepiloga un po' quanto detto e intervista un po' di testimoni e almeno vedete da voi

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E vi piazzo anche il rap che fa ggiovane
Ora, senza ricordare ancora l'umiliazione e il crimine della vertenza entrate, ditemi io come mi devo sentire dopo perle come questo processo e la Sardegna "inquinata per natura" e più pastori che si ammalano di linfoma di Hodgkin perché boh, ditemi voi come posso fare ad avere fiducia in questo Stato e nelle sue istituzioni e a non voler essere libero dall'Italia asap, considerando che Nazione lo siamo senza dubbio, benché senza stato.

Noi vogliamo una Sardegna libera dalla servitù, dall'umiliazione che ci porta l'occupazione militare. Lo Stato italinao ci offre morte e distruzione.

A foras sos mlitares dae sa Sardinna. A foras po' semper sa NATO, po' sa pache e mai sa gherra.

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Re: S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

Messaggio da El Principe »

Dopo aver parlato mesi fa dell'omicidio di Yves Colonna e, in estrema sintesi, anche un po' dell'indipendentismo corso e poi della autodeterminazione negata al popolo del Nagorno Karabakh dal feroce dittatore azero Ilham Aliyev (pagina 7), voglio portare anche qui un fatto recente con questioni di autodeterminazione che mi ha colpito molto e mi ha ricordato come il calcio e lo sport in generale, che piaccia o meno, è sempre legato alla politica e alla cultura. Poi, forse è meglio ricordarlo, avevo specificato a inizio thread come ogni tanto sarei andato off topic fuori dalla Sardegna per raccontare storie di self-determination of people ispiratrici o curiose.

NOTA: Poi sull'Artsakh ci sarebbe tanto da aggiungere, visti i recenti sviluppi con l'Azerbaijan che ha invaso direttamente l'Armenia, col solito supporto Turco, e adesso resiste un fragilissimo cessate il fuoco ma con gli azeri sempre dentro il territorio armeno, non "al confine". Poiché il tutto è legatissimo al causa karabakha poi ci ritorno e vedremo perché di questa invasione non è interessato niente a nessuno e non ci sono state sanzioni o condanne internazionali davvero convinte.

Comunque, torniamo alla storia di oggi. Lo scorso 11 ottobre la nazionale femminile di calcio dell'Irlanda si è qualificata per la prima volta alla fase finale di una coppa del mondo, quella che si disputerà nel 2023 in Australia e Nuova Zelanda. Lo ha fatto battendo la Scozia ad Hampden Park nello spareggio in partita secca grazie al gol di Amber Barrett. E quindi? E sticazzi? Beh, più che l'impresa sportiva, nel Regno Unito, ha fatto molto scalpore un video delle calciatrici che festaggiano negli spogliatoi cantando una brano che inneggia la RA, la Repubblican Army. È l'esercito di partigiani volontari che, tra il 1916 e il '22, combattè per ottennere l'indipendenza di buona parte dell'isola dalla Corona britannica. Anche in Irlanda, ovviamente, la questione è entrata di prepotenza nel dibattito pubblico e ancora se ne parla.



Quanto son belle :love: :love:


"Say oh! Ah! Up the RA" e parte l'indignazione. "Eh ma incitano l'IRA, i terroristi! Si devono scusare, anzi devono essere punite! Arrestate!". E infatti la polizia scozzese ha annunciato di aver aperto un'indagine a riguardo, quindi le ragazze adesso sono formalmente indagate. Lo stesso ha fatto la UEFA. Peccato che la canzone non glorifichi assolutamente l'IRA, intesa come le varie organizzazioni paramilitari che hanno usato quel nome dopo la guerra d'indipendenza, in particolare nel conflitto a bassissima intensità che ancora oggi è presente in Irlanda del Nord tra lealisti monarchici e repubblicani. Una guerra che ha causato migliaia di vittime innocenti. Anche per la durissima repressione avviata, col suo bello stile, da Margaret Thatcher, fatta di massacri da parte delle truppe inglesi e delle organizzazioni paramilitari lealiste Ulster. Senza contare i tanti prigionieri politici, di cui il più famoso è forse Bobby Sands, che per protesta si lasciò morire di fame in prigione nei famigerati "H Blocks". Ovviamente anche le organizzazioni repubblicane nordirlandesi, "la Provisional IRA" e le altre "IRA", in questo contesto, hanno i loro scheletri nell'armadio e comemsso i loro crimini.





Peccato che, come detto, la canzone si riferisca ad altro e sia diffusissima e di uso molto comune nella Verde isola. Nell'ultimo mese è diventata virale ed è schizzata al primo posto della classifica ITunes in Irlanda e al secondo negli UK. Inoltre, è anche molto legata al calcio, è un inno. Infatti è un brano scritto nel 1987 per celebrare i 100 anni del Celtic, il club anti monarchico e indipendentista di Glasgow di origine irlandese. "Celtic Symphony" è stata composta dalla band Wolfe Tones, simpatici tzieddos storici esponenti della "Irish Rebel Music", genere per definizione antimonarchico, repubblicano, indipendentista e favorevole (come lo sono io) a un'Irlanda unita e tutta libera dal Regno Unito. L'"RA" del testo si riferisce, in realtà, proprio alla discendenza irlandese e ai valori del Club scozzese, e serve per paragonare i tifosi del Celtic, in particolare i bellissimi ultras della Green Brigade, agli eroi che hanno ottenuto l'indipendenza dell'Irlanda. Una sua "versione modificata" si è sentita anche negli stadi di Cagliari e Palermo a Italia 90, in omaggio al calciatore irlandese Paul McGrath ("Oh! Ah! Paul McGrath! Say oh! Ah! Paul McGrath!"). È un inno calcistico e anche culturale, senza dubbio, ma non ha, e mai ha avuto, lo scopo di "inneggiare ai terroristi dell'IRA". Anche perché i Wolfe Tones in tantissimi altri brani non si fanno problemi a citare la Provisional IRA in modo molto diretto e parlare del conflitto in Irlanda del Nord, come in "Go Home British soldier", in modi che comprensibilmente potrebbero offendere. Anzi, in "Celtic" avevano usato la sigla "RA" senza"I" proprio per evitare fraintendimenti e polemiche (nonostante gli indipendentisi fossero noti anche come IRA, l'originale Irish Republican Army).


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Per alcuni, fuori dalla Repubblica d'Irlanda, può essere considerata "offensiva". Un po' sullo stile delle polemiche che ogni tanto si sentono in Italia su "Bella Ciao divisiva". E quindi? Nei loro spogliatoi le ragazze, con l'euforia per un traguardo più che storico, hanno intonato la canzone popolare per identificarsi nella RA, per dire che loro sono un po' come la Republican Army storica, almeno nel campo del calcio femminile. E per questo si dovrebbero scusare? In un contesto come quello del calcio tra nazionali, poi, in cui prima delle partite a volte vengono suonati inni che celebrano massacri e militarismo nazionalista? Ma nemmeno per sogno e non devono certo chiedere il permesso per omaggiare chi gli ha dato l'indipendenza, cantando poi un coro calcistico, quindi nemmeno fuori contesto. Se a qualche nostalgico in UK questo ricorda l'inizio della fine del glorioso impero, pazienza. Se qualcun'altro, in malafede o meno, vuole strumentalizare il tutto come inno al terrorismo idem. Forse il commentatore britannico di Sky, che nel post partita si è messo a dare lezioni di moralità e ha chiesto alle calciatrici se conoscessero la storia, dovrebbe ripassare la propria, ovvero quella di un Paese che non ha mai fatto i conti con un passato coloniale di razzismo e violenza con conseguenze tangibili ancora oggi. Un paese che anzi, anche di recente, ha celebrato in grande stile il simbolo di ciò che resta da tale impero (vi rimando a quanto fatto dai tifosi del Celtic contro il St. Mirren, il miglior omaggio alla Regina).

Alla fine le scuse di rappresentanza della Federcalcio Irlandese sono arrivate. Ma in tanti in UK si sono chiesti e anzi hanno preteso, sempre indignati, che a scusarsi fosse direttamente la capitana delle Girls in Green, la calciatrice dell'Arsenal Katie McCabe :love: , promotrice del gesto e "quella che ha messo il coro nel telefono". Ma lei poi ha poi fatto sapere, in modo unofficial tramite una soffiata all'Irish Times, che è proprio perché conoscono la storia che hanno festeggiato così.

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Re: S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

Messaggio da Inklings »

Passo per dire che questo topic mi manca :cia:

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Re: S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

Messaggio da El Principe »

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El Principe ha scritto: 14/03/2022, 22:24 Tornerò sulle questioni sarde, lo prometto, con la storia delle servitù militari e i danni dell'occupazione degli eserciti italiani e della Nato nella prossima puntata. Oggi, però, ci tenevo a condividere un mio angry rant su una questione di indipendentismo che mi è sempre stata molto molto a cuore, e che nelle ultime settimane ha visto un'escalation senza precedenti, ma che però non è tanto di moda e di conseguenza nessuno ne parla, neanche alla lontana. Ancora di più adesso, con la guerra in Ucraina che monopolizza l'attenzione. Magari, se riesco, ogni tanto posso provare a portare altre storie ispiratrici indipendentiste, tipo sulle battaglie per l'autodeterminazione degli indigeni nelle Americhe e in Oceania.


Comunque, dicevo, mentre tutto il mondo è concentrato sulla guerra di Putin, in Europa un suo piccolo fan e imitatore ne sta approfittando per dare un’accelerata a quel suo progettino di pulizia etnica. Non che avesse tanto bisogno di qualcosa che attirasse l’attenzione altrove eh, perché a nessuno è mai interessato granché di quello che faceva e, soprattutto, nessuno ha mai espresso troppa solidarietà per le sue vittime. Ma in fondo non si sa mai come gira il vento e, in ogni caso, perché farsi sfuggire questa occasione di agire ancora più tranquilli con l’indignazione e la solidarietà mondiali monopolizzate? La risposta è più che facile per Ilham Aliyev. È il presidentissimo dell’Azerbaijan dal 2003, quando ha ereditato la carica alla morte del defunto padre Hayder, a sua volta capo assoluto dal crollo dell’URSS. La Democrazia con la "d" grande. A pochi importa, ma da quando è iniziata l’offensiva russa in Ucraina sono aumentati, e di tanto, anche i soprusi dell’esercito azero contro le popolazioni civili del Nagorno Karabakh.

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LA STORIA, IN BREVE

Il Nagorno Karabakh: si tratta di una zona montuosa ("nagorno" significa proprio questo) a Ovest dell'Azerbaijan e a Est dell'Armenia, di lingua e cultura armena ma sotto controllo di Baku fino al 1991, quando i karabakhi sfruttando una regola legata alla prossima dissoluzione dell’URSS si sono staccati dagli azeri. Per una legge sovietica una regione, oblast, a statuto speciale come il Nagorno, infatti, poteva scegliere da sola in caso la repubblica di cui faceva parte avesse deciso di lasciare o no l’Unione. Così, quando l’Azerbaijan è uscito dall’URSS, il Karabakh ha deciso di autodeterminarsi creando la Repubblica dell’Artsakh per liberarsi del giogo di Baku. Ne è seguita una guerra durata fino al 1994 tra azeri e indipendentisti, supportati dall’Armenia. Tuttavia, nel vuoto lasciato dall’URSS, anche dopo gli accordi per il cessate il fuoco la regione è rimasta in un precario equilibrio per cui a livello internazionale veniva considerata parte dell’Azerbaijan ma de facto ne era indipendente. Dopo anni (tanti) di schermaglie ai confini, nel 2020 Aliyev ha rotto gli indugi e ha invaso l’Artsakh, senza incontrare nessuna ostilità a livello internazionale. Da Paese alleato della NATO, e anzi con il supporto tattico e sul campo di uno dei membri atlantici più influenti come la Turchia (lo storico nemico degli armeni e responsabile del loro genocidio, che ha sempre negato), e facente parte della politica europea di vicinato aveva “il permesso” di fare un po’ come voleva, senza che arrivassero sanzioni o che nessuno “prendesse a cuore” la causa degli armeni karabakhi. Dopo 45 giorni e la mediazione di Putin (che come sappiamo ci tiene a restare influente nelle ex repubbliche sovietiche, oltre che essere in rapporti di amicizia con Aliyev), la guerra è vinta.


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Amicone della NATO, dell'Unione Europea e di Putin, nonostante sia il classico dittatore fasholigarca. Cazzu, il tipo è bravo.

HERE AND NOW


Cosa restava, dunque, ancora da fare all’Azerbaijan vittorioso sul campo militare e negli accordi diplomatici? Il genocidio culturale e la cacciata degli armeni di Artsakh, ovviamente. È così da una settimana Baku ha chiuso le forniture di gas ed elettricità verso il Nagorno, lasciando i karabakhi senza riscaldamento, acqua calda e condizioni di vita base. In più, l'esercito di Baku impedisce con la forza di riparare le linee, ovviamente distrutte da loro stessi, per i rifornimenti dall’Armenia. A questo si aggiungono gli spari d’artiglieria sui villaggi, le devastazioni dei campi, i morti e le minacce, dei soldati azeri alla popolazione, di sterminio. E poi c’è la distruzione fisica di edifici storici, chiese etc.. che mostrino “retaggio armeno”, in un genocidio culturale condannato di recente anche dal Parlamento europeo. Di questa invasione, degli abusi sui civili e della grave emergenza umanitaria che ne è derivata nessuno ne parla.





Secondo me, la cosa più triste di questa escalation è il proprio il “double standard”, l’ipocrisia, per cui alcune invasioni sono da condannare, altre no, alcune vittime sono da compatire e supportare, altre no, alcuni profughi sono da respingere e sono una minaccia, altri no (la Polonia ha accettato centinaia di migliaia di rifugiati ucraini in pochi giorni, ma le centinaia e basta di siriani e afgani mandati dalla Bielorussia erano insostenibili e, facendo il gioco di Lukashenko, minavano la sopravvivenza dello Stato polacco).

Da sardo indipendentista ho sempre solidarizzato con la causa dell’Artsakh, che soffre da sempre una guerra culturale portata avanti da un invasore. In un certo senso, a livello ideale, ci ho visto qualcosa in comune con quanto fatto alla Sardegna, non con le armi e per questo più subdola ed efficace, con la demonizzazione e lo svilimento della nostra cultura, come detto da civiltà unica almondo ridotta alle pecorelle, e con l'omicidio istituzionale e per legge della lingua sarda. E niente, volevo farvi partecipi anche delle lotte per l'esistenza in Artsakh.


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FONTI:

- Agenzia di stampa indipendente in lingua inglese Zartok Media, nata per informare gli armeni della diaspora all'estero. - Regista, documentarista e corrispondente da Step'anakert Mariam Avetisyan - Articoli da vari media americani raccolti da AGBU Global, organizzazione culturale armena no profit con sede negli USA

A scanso di equivoci, ci tengo aspecificare che supporto sempre il diritto ad autodeterminarsi di tutti. Dell’Ucraina libera dalla Russia, ma anche della Crimea e del Dombass, dove non c’è mai stato il genocidio millantato dalla propaganda russa, ma lì i nazisti istituzionalizzati del Battaglione Azov hanno commesso crimini e torture documentate, anche se adesso sono dipinti come gli eroi nazionalisti di Mariupol, e mi pare evidente che ci sia un "problema" di identità molto complesso, che va molto oltre la retorica dei buoni buonissimi e dei cattivi cattivissimi degli ultimi tempi.

Totus unidos, totus liberos, totus uguales. E semper e comunque contra sa gherra e le spese militari, che al volo il Governo ha deciso di aumentare. Perché poi? Che tanto le munizioni nemmeno le usano e finiscono per smaltirle nei poligoni sardi o per spararle nello loro esercitazioni, sempre in Sardegna. Bascarammene. Appuntamento alla prossima puntata.

Riuppo purtroppo per dare un infausto aggiornamento su questo tema di cui avevo parlato qui. In primis perché ci tengo molto e sono particolarmente legato alla causa dell'Artsakh e poi anche considerando che da una settimana circa il topic Politica estera è entrato nel club dei thread in cui piuttosto che entrarci e leggerli mi sparo, dico sul serio non è per esagerare, insieme a Politica italiana e Guerra in Ucraina. Di quest'ultimo non ho mai letto mezza riga dal principio, sulla sfiducia, lo ammetto.

Comunque, tornando a noi, purtroppo la Repubblica dell'Artsakh non esiste più, l'annientamento è finito. Nell'indifferenza totale della comunità internazionale e, soprattutto, del suo grande alleato strategico Unione Europea, così attento alle questioni etiche e morali a targhe alterne, l'Azerbaijan ha completato la pulizia etnica nel Nagorno Karabakh. Dalla fine del 2022 il governo azero del dittatore Aliyev ha bloccato il corridoio di Lachin, ovvero la strada di 9km che collegava l'Artsakh all'Armenia, lasciando la popolazione senza viveri di alcun tipo, compresi carburante per auto e riscaldamento e forniture mediche, e privando ai malati cronici la possibilità di spostarsi per curarsi. Una situzione sempre più insostenibile a cui si aggiungono i sabotaggi azeri a gasdotti e linee dell'elettricità che arrivavano sempre dall'Armenia.

Come se affamare una popolazione non fosse un crimine già abbastanza grave, ma pur sempre ignorato dai grandi partner, negli ultimi mesi "l'assedio" si è intensificato, con persone fragili o malate decedute per denutrizione e mancanze mediche. Insieme alle condizioni umanitarie disastrose, ovviamente, è arrivata l'aggressione militare propriamente detta. È stato usato anche fosforo bianco, (per distruggere "solo" campi, boschi e fattorie nel 2023) di cui gli azeri si riforniscono dal loro più grande alleato dopo la Turchia, ovvero i maestri del crimine di guerra con tale armamento. Nel 2020 a Baku sono stati buoni allievi e lo hanno lanciato anche sui civili karabakhi. Testimonianza di un reporter canadese:



I soldati russi, come al solito, hanno appoggiato Baku e costretto le milizie indipendentiste a difesa dell'Artsakh a consegnare le armi. Si tratta dei pacekeeper del Cremlino stanziati nella Regione dopo gli accordi che hanno concluso la seconda guerra del Nagorno Karabakh del 2020, vinta dall'Azerbaijan e nella quale già avevano conquistato larghe fatte di territorio e costretto la popolazione alla fuga.

Come detto, nella completa impunità, negli ultimi due mesi i 120k karabakhi superstiti (circa 30 mila quelli già obbligati alla fuga per le annessioni azere del 2020) sono stati costretti, tramite minaccia di sterminio (gli azeri hanno comunque ucciso indiscriminatamente in alcuni villaggi), a emigrare in Armenia. Hanno lasciato dietro di loro città deserte, compresa la capitale Step'anakert, e il corridoio di Lachin pieno di auto senza carburante, terminato durante questa infausta diaspora. Sono rimaste solo poche decine di persone, il cui destino resta incerto e loro in primis hanno dichiarato di voler restare "per morire qui".

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Step'anakert centro

Come già fatto nel 2020 nei territori conquistati, le ruspe azere stanno già spianando paesi rimasti vuoti e distruggendo monumenti storici, come castelli, chiese e monasteri, testimonianza del retaggio armeno della regione. Una violenza, uno stupro culturale, inimmaginabile. Inoltre, sono già partiti i bandi per trasferire cittadini azeri e completare l'assorbimento della zona, in particolare nella deserta Step'anakert, che da ora in poi sarà chiamata dagli azeri Khankendi. I profughi karabakhi che sono riusciti ad arrivare in Armenia stanno chiedendo di poter fare qualcosa per trasferire le salme dei loro cari, in particolare dei caduti delle varie guerre di difesa, anche se ormai pare che sia troppo tardi, poiché stanno già arrivando immagini di cimiteri profanati. Non tutti sono arrivati in Armenia, anche perché quasi tutte le personalità politiche, militari e culturali dell'Artsakh sono state arrestate nei posti di blocco organizzati dall'esercito azero con i russi. Adesso si trovano in carcere e devono affrontare processi farsa per omicidi o stupri inventati.

E questo è quanto. Sono immagini dolorose quelle che arrivano dalla ex capitale, con il dittatore Aliyev che marcia su una città fantasma beandosi della sua vuotezza e calpesta una bandiera della Repubblica dell'Artsakh nella hall del palazzo del Governo.



Il segretario di Stato statunitense Antony Blinken ha dichiarato che ci sarebbero concrete possibilità che l’Azerbaijan invada in larga scala l’Armenia nelle prossime settimane. "In larga scala" perché l'Armenia, dal settembre 2022, è in realtà già invasa dall'Azerbaijan, le cui truppe controllano vaste aree di territorio nelle zone oltre il confine. L'obiettivo ufficiale di Aliyev è conquistare il territorio armeno che divide la sua nazione dall'exclave azera di Nakhichevan, ovvero una sorta di "Nagorno Karabakh" azero a cui però è stato, giustamente, garantito il diritto di autodeterminazione ed è quindi parte dell'Azerbaijan in modo ufficiale e riconosciuto dalla comunità internazionale, Armenia compresa. Questa exclave è completamente separata dall'Armenia e si può accedere solo dai confini con la Turchia e l'Iran, fortissimi (sopratutto il primo) alleati di Baku. Queste complicanze sono eredità delle assegnazioni territoriali arbitrarie fatte da Stalin negli anni 20, che ha ceduto all'Azerbaijan l'oblast di Nakhichevan (in cui azeri, in maggioranza, e armeni avevano sempre convissuto in pace) e l'oblast autonomo del Nagorno Karabakh, che al tempo confinava con l'attuale territorio armeno. Era infatti parte delll'Armenia, ma è stato divorato dalle aggressioni azere fino a ridurlo a un terzo della sua estensione originaria e reso obbligatoria l'istituzione di un breve corridoio, quello di Lachin, visto che il NK ormai era del tutto isolato e circondato dall'Azerbaijan, da territori propiamente azeri e da quelli karabakhi presi con la forza.

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Nella mappa, in rosso la Repubblica di Artsakh al 2020, in grigio il Nagorno Karabakh originale degli anni di Stalin.

Il tutto era eredità della dissoluzione della Repubblica Federale Democratica Transcaucasica, che comprendeva Armenia, Azerbaijan e Georgia, nata dopo che tali territori erano stati persi dal morente Impero Ottomano. Il problema è che la legislazione sovietica di cui avevo parlato ha permesso negli anni 90, giustamente, al Nakhichevan (storicamente armeno come territorio ma a netta maggioranza azera, poi diventata la totalità dagli anni 20) di decidere del proprio destino e unirsi all'Azerbaijan, mentre al Nagorno Karabakh questo diritto è stato negato.

Comunque, Aliyev, spalleggiato da Erdogan, da anni parla di aprire con la forza un corridoio, detto di Zangezur, che colleghi l'Azerbaijan al Nakhichevan. Nella pratica si tratterebbe di prendersi tutto il Sud dell'Armenia e collegare completamente l'exclave ai territori conquistati all'Artsakh, altro che 9 km di strada com'era il corridoio Lachin. Oltre a questo, la propaganda di regime azera da sempre batte sull'odio anti-armeno, con l'Armenia che viene chiamata Azerbaijan dell'Ovest e "terra che è nostra e che ci riprenderemo". Addirittura Aliyev ha definito Yerevan, "storicamente dell'Azerbaijan". Sono cazzate così grosse a cui nemmeno uno storico azero tra i più fanatici potrebbe credere, e Aliyev lo sa benissimo, ma ripete la bugia a sfinimento per propaganda.


Nel mondo solo qualche sportivo come Mkhitaryan, e poi Serj Tankian (molto attivamente) e le Kardashian hanno provato a denunciare i crimini azeri e la pulizia etnica del NK, inutilmente. Negli Stati Uniti e in Francia, paesi in cui la diaspora armena era stata più numerosa, qualche senatore e associazione ha provato a fare un po' di clamore in più, ma non è servito.

Se Blinken usa il condizionale, io ho la certezza che l'Armenia verrà invasa dalle forze azero/turche (negli ultimi giorni hanno intensificato le esercitazioni congiunte a pochi km dal confine) entro il prossimo anno. E non solo per creare il corridoio di Zangegur, l'obiettivo è la distruzione totale dell'Armenia e la completa annessione dei territori. Anche se non è neanche una questione di territorio, è che non potete nemmeno immaginare quanto sia grande l'odio etnico-religioso anti-armeno che la propaganda del duro regime di Baku è riuscita a creare, usandolo come capro espiatorio e valvola di sfogo e distrazione per tutto. Durante le fasi più intense dell'invasione di settembre 2022 sui social azeri (Telegram, ma anche pubblici su Odnoklassniki e VK) sono comparsi i video di torture, dissacrazione di soldati nemici uccisi, massacri e crimini di guerra che preferisco non raccontare o linkare (benché ho visto siano ancora presenti).



Altra cosa che rende certa la futura invasione è come la pulizia etnica degli ultimi mesi sia passata completamente impunita. Quello che fa più male di tutta la storia, infatti, è proprio il silenzio assordante di Stati Uniti e soprattutto Unione Europea, che non hanno tirato fuori mezza condanna, se non un "augurio e volontà che si arrivi alla pace presto". Zero sanzioni economiche o prese di posizione diplomatiche, sticazzi totale. Al massimo al parlamento europeo c'è stata qualche discussione che lascia il tempo che trova. Intanto gli USA hanno continuato ad armare Baku, e l'Italia ha fatto lo stesso visto che il regime è uno dei maggiori clienti dei mercanti di morte del circolo di Crosetto e dell'azienda Leonardo. Eh poi per l'europa c'è il gas oh, chissenè di una pulizia etnica e dell'invasione criminale di uno stato sovrano. Non che sia una sorpresa eh, d'altronde pochi giorni prima dell'invasione dell'Armenia Aliyev era stato accolto dal vostro presidente Mattarella con tutti gli onori, e qualche settimana prima Ursula Von der Leyen l'aveva incontrato e lodato come "partner affidabile". Sono la massima espressione dell'ipocrisia. Non gli perdonerò mai la fine che hanno fatto fare al mio amato Artsakh, bastardi.
Ultima modifica di El Principe il 09/11/2023, 12:55, modificato 1 volta in totale.

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Re: S'ITALIA EST SU NEMICU: Le ragioni economiche, politiche e culturali degli indipendentisti sardi

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Me l'ero persa la dichiarazione di Blinken sulla possibile invasione dell'Armenia. Non che ce ne fosse bisogno, è lì da vedere, ma è curiosa perché è pur sempre una dichiarazione ufficiale.
Ho l'impressione che l'Azerbaijian sia una mezza pedina nei piani organici del tentativo di tornare a una forma di imperialismo da parte della Turchia. Non che non sia un paese con un governo infame eh, intendiamoci, ma la Turchia, come la Russia, continua a considerarsi un impero e tutte le sue mosse internazionali vanno viste in quell'ottica. Con la differenza che la Russia ha avuto ed ha blocchi contrapposti, la Turchia ha lo stesso piede in mille scarpe come tutti ben sappiamo. Sull'odio etnico verso gli Armeni ci sarebbe da scrivere a quintalate, ma ciò che continua a disturbarmi nonostante il cinismo che ormai mi avvolge è la pochissima solidarietà, sia simboica che economica, che quel paese riceve in ambito internazionale.
Sono capitato per caso in Azerbaijian il mese scorso proprio mentre era in atto la nuova offensiva. Quello che salta all'occhio è che sembra un paese in costante e fremente desiderio di guerra. Sopratutto città minori come Sumqayit sono tappezzate ovunque (edifici pubblici e governativi, ma anche centri commerciali) di foto e ritratti di militari addirittura risalenti alla guerra del 92. Da bravi paraculi però a Baku, dove c'è un discreto turismo occidentale e dagli Emirati ste porcherie mica le ho viste. Certo, come ovunque, parlando con le persone del posto trovi anche chi si rende conto della situazione. Una tizia (credo una dissidente ma non ho approfondito) mi ha detto apertamente che se il governo fa certe cose è per il disinteresse più che per la convinzione nella causa degli azeri. Poi c'è anche l'aspetto della distruzione delle altre identità culturali e dei monumenti storici a cui accennavi anche tu a fare impressione, mentre ricordo che in Armenia, nonostante l'anticomunismo diffuso, i monumenti sovietici erano attrazioni turistiche, ma parlo di 10 anni fa più o meno.
Sono curioso di sapere come mai sei tanto informato ed affezionato a questa realtà, sempre se ti va di dirlo, anche via pm nel caso.

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