I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Tutto quello che non riguarda wrestling, sport, calcio, tv/cinema o videogiochi... il forum Mondo è il posto per parlare di politica, musica, gossip, arte o quanto altro vi possa venire in mente!
Avatar utente
Inklings
Messaggi: 5248
Iscritto il: 20/01/2016, 12:54
Città: No ai messaggi privati
Has thanked: 853 times
Been thanked: 1156 times

Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

9/52

Oggi qualcosina di diverso dai miei temi abituali, dai.

Immagine

Rahula è stato un monaco buddhista dello Sri Lanka divenuto professore di History and Religions alla Northwestern University, primo bhikku a ottenere una simile carica accademica in Occidente. Nel 1959 scrive questo libro per presentare i concetti e le pratiche fondamentali del pensiero buddhista - in particolare di quello Theravada, "degli Anziani", ossia la corrente più aderente al canone dei discorsi antichi del Buddha e dei sui discepoli - in una forma rigorosa, analitica e concisa, facendo nel mentre anche un importante lavoro di traduzione linguistica e concettuale che cerchi di trasmettere lo spirito e l'unicità della sua tradizione.*

Sono entrato in contatto con questo libro settimana scorsa, visitando il Festival dell'Oriente a Brescia. Non sono una persona religiosa, ma negli ultimi anni ho avuto modo di praticare ogni tanto la meditazione Mindfulness (tra varie altre cose più vicine alle "normali" terapie per la depressione).** Fatto sta che sono un tipo abbastanza curioso, non avevo nulla da perdere e si trattava di 15 min o poco più al giorno, quindi provo ed effettivamente (dopo le prime volte un po' goffe) non mi dispiace. Inoltre, sembrava avere un effetto abbastanza salutare come pratica (chiaro, non soltanto quello, però la sensazione è piacevole). Dopo un po', e avendo ritrovato un migliore equilibrio emotivo, è diventata una roba molto più saltuaria da una volta ogni tanto, però mi rimane un po' il pallino. Vabbè, vado a sto festival, faccio un po' di meditazione con dei buddhisti thailandesi lì che mi regalano un po' di testi tra cui alcune riflessioni di Ajahn Sumedho e questo (di cui conoscevo già la fama) in inglese. Un po' di discorsi del Buddha per un motivo o per l'altro me li ero letti negli anni, ma pensavo che un'esposizione un po' più accademica potesse essere interessante.

Il testo va molto al sodo su i pilastri fondamentali del Buddhismo (principalmente Theravada ma confrontandolo ogni tanto anche con quello Mahayana): le 4 Nobili verità e l'Ottuplice Sentiero, più le dottrine dell'Anatta (il Non-sè), della Genesi Condizionata e con un focus sulle forme di pratica meditativa. Scritto molto bene, ne risulta un'introduzione molto concisa ma anche un'analisi rigorosa che non manca il confronto con le idee della filosofia occidentale. Non posso dire di averlo potuto comprendere appieno, perché comunque nella lettura continuavo a percepire comprensibilmente un'enorme distanza culturale e una fondamentale "intraducibilità" di alcuni concetti esposti, soprattutto quelli più radicali come l'Anatta.*** Però rimane una lettura interessante che mi ha dato un po' di spunti in questi giorni sia nella vita quotidiana sia nel confronto con sistemi di pensiero a me più noti. Inoltre ha corretto un po' di preconcetti erronei che avevo rispetto a questo mondo, di cui credevo di avere qualche nozione ma che invece non avevo colto per nulla né nei suoi principi né nella sua varietà. Abbastanza efficace come finestra per introdursi alla scoperta di una cultura estremamente diversa da quelle a cui molti di noi sono abituati, anche per chi come me non ha interesse nell'aderire alla proposta spirituale buddhista**** ma solo curiosità di provare a conoscerne le origini e le ragioni.

NOTE:
Spoiler:
*Rahula fa molteplici esempi di traduzioni e interpretazioni fuorvianti dettate dalla distanza culturale e da preconcetti nell'impostazione del discorso, attuati sia da pensatori occidentali sia da praticanti orientali che hanno tentato di incontrare i nostri "gusti" o di portare acqua al mulino di certe tradizioni esoteriche.
** La Mindfulness è un esercizio di meditazione mutuato in Occidente dalla pratica buddhista ma più incentrato sull'esercizio di concentrazione in sé e "privato" del lato religioso/filosofico. Negli anni mi è capitato di leggere un po' di psicologi e terapeuti che lo consigliavano per una serie di possibili benefici (rilassamento, maggiore consapevolezza nei propri giudizi emotivi, maggior controllo sulle emozioni, etc.).
*** Mentre leggevo mi rendevo conto di non riuscire a cogliere quel concetto se non traslandolo con idee radicali a me più note, per esempio la filosofia di Spinoza o la critica di Hume al concetto di identità. Ma rimane una traduzione imperfetta e fuorviante, perché un conto è comprendere in teoria che non esista un sé inteso come entità distinta e unitaria, che è una forma di speculazione (più o meno utile per fare certe cose e più o meno condivisibile); un conto è seguire un percorso spirituale per raggiungere un esperienza dei fenomeni privata dell'Io-sono, affine a quello che viene chiamato Nirodha o Nirvana. Posso solo riconoscere che per me (e penso non solo per me) questo è e probabilmente sarà sempre incomprensibile.
**** Però sono favorevolmente colpito dal fatto che il Buddhismo Theravada (quindi non quelli tantrici o che presentano culti esoterici) sia molto aperto all'utilizzo dei propri concetti e forme di meditazione come strumenti pratici anche da parte di laici e persone di altre fedi religiose (impressione che ho confermato anche leggendo i discorsi di Sumedho).



Avatar utente
Inklings
Messaggi: 5248
Iscritto il: 20/01/2016, 12:54
Città: No ai messaggi privati
Has thanked: 853 times
Been thanked: 1156 times

Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

10/52

Primo saggio italiano della rubrica, va ad una ricerca straordinaria capeggiata da un team parmigiano che ha cambiato totalmente la storia delle neuroscienze. È un po’ lunghetta perché per spiegare il concetto serve prima spiegare altre ricerche (e così funziona anche il saggio, deve presentare prima delle ricerche precedenti per parlare del succo).

Immagine

Il saggio di questa settimana è una sintesi di 20 anni di ricerca su un tipo di neuroni scoperti alla fine degli anni 80 da parte del neuroscienziato parmigiano Giacomo Rizzolatti. Nel 2006 scrive questo libro a quattro mani con il filosofo della scienza Corrado Sinigaglia (di cui sono anche stato studente) per presentare i risultati dei suoi studi in un linguaggio accessibile e focalizzandosi anche sul ruolo svolto da queste scoperte nella storia delle scienze cognitive. Ci sono stati testi più recenti (come un aggiornamento nel 2019), ma ho scelto questo testo nonostante il suo essere “datato” (15 anni non sono pochi nelle scienze cognitive) perché rimane un’ottima introduzione al tema che non si limita solo all’esposizione dei vari esperimenti svolti ma si concentra anche sui risvolti che tali ricerche hanno per alcuni problemi tradizionali nella filosofia della mente. Per comprendere il nocciolo di cosa siano e come funzioni i neuroni specchio (e non solo) basta e avanza.

A cavallo tra gli anni ’80 e ‘90 vennero individuate alcune zone della corteccia dei primati specificatamente deputate alla cognizione sociale: svariati gruppi di neuroni presenti in essa si attivano sia durante l’esecuzione di specifici movimenti, sia nella “semplice” osservazione di oggetti o degli stessi movimenti negli altri. Fino a quel momento il sistema motorio era considerato perlopiù un semplice esecutore di output conseguenti alle informazioni elaborate precedentemente dalla corteccia sensoriale ed associativa, in accordo con la visione classica del cognitivismo. Il fatto che invece esso fosse effettivamente coinvolto nell’elaborare gli stimoli percettivi costrinse i neuroscienziati coinvolti nella scoperta a molte revisioni (alcuni già in atto da anni) delle precedenti visioni sul funzionamento del cervello.

Per cominciare, una serie di analisi sperimentali su macachi portate avanti da un gruppo di neuroscienziati capitanati da Giacomo Rizzolatti mostrò dei risultati inaspettati sull’attività della loro corteccia. In corrispondenza delle aree F4 e F5, nella cosiddetta corteccia premotoria (lobo prefrontale posteriore), sono presenti popolazioni di neuroni che scaricano in corrispondenza di specifici tipi di azione, indipendentemente dai muscoli effettori utilizzati. In altre parole, uno stesso gruppo di neuroni può attivarsi ad esempio durante il compito di afferrare (o rompere, o tenere) un oggetto, sia realizzato con la mano (destra o sinistra) o con la bocca; inoltre, lo stesso gruppo neuronale risulta inattivo quando l’animale utilizzava gli stessi identici muscoli ma per compiti differenti da quello di afferrare. La conclusione di questi esperimenti fu che i neuroni delle aree osservate non codificavano né mappavano l’esecuzione meccanica dei movimenti muscolari (come sembravano invece fare le cellule in F1, strettamente connessa con F5), bensì lo scopo degli atti: non il muovere la mano o la bocca, ma l’afferrare, il rompere, il tenere, etc. Anni dopo, infatti, una serie di esperimenti di neuroimaging su esseri umani mostrò risultati affini, riferiti tuttavia all’area di Broca. A differenza di F4 e F5, che sono localizzate in modo bilaterale, le aree 44-45 del nostro cervello siano localizzate nel solo emisfero sinistro.* Tuttavia, molteplici dati suggeriscono come parte dell’area di Broca possa essere considerato esattamente l’omologo strutturale e funzionale della F5 dei macachi.

Una serie di ulteriori esperimenti su queste aree mostrò come alcuni di questi neuroni premotori scaricassero non soltanto durante l’esecuzione di un’azione, ma anche con la semplice presentazione di oggetti, con «un’elevata congruenza tra la selettività delle risposte motorie (tipo di presa) e quella delle risposte visive (tipo di forma, taglia e orientamento dell’oggetto)».** Messa in altri termini, una percentuale di neuroni di F5 mostrava spiccate caratteristiche visuo-motorie. Il nome proposto per queste cellule fu neuroni canonici, e la loro scoperta gettò nuova luce sulle possibili relazioni tra percezione ed azione. Diventava chiaro come i neuroni dell’area F5 rappresentassero atti potenziali, i quali potevano essere eseguiti o inibiti in relazione all’azione di altre aree della corteccia premotoria, come la più frontale F6. L’aspetto più interessante è che l’attivazione di questo vocabolario di atti potenziali sia strettamente legato alla visione di oggetti aventi specifiche caratteristiche fisiche, affini agli atti evocabili dai neuroni di F5. La conclusione che possiamo trarre è che la visione non sia, come sostenuto dalle teorie cognitiviste classiche, una registrazione di immagini distinta dalla realizzazione successiva dei movimenti dell’animale. Al contrario, sembra che l’osservazione degli oggetti sia già l’offerta implicita di una serie di azioni possibili, che essa susciti o inviti l’animale (macaco o umano) ad eseguire una serie di azioni.***

Ciò che tali network cerebrali codificano sembra essere proprio il significato che un oggetto assume per le attività dell’organismo che lo vede, estraendo dalle caratteristiche tridimensionali dello stimolo percepito una serie di azioni possibili evocate nel nostro sistema motorio. Così, nel cervello dei nostri cugini scimmieschi (e nel nostro) è presente un sistema che ci permette di relazionarci all’ambiente nei termini di una congruenza tra le nostre possibilità motorie e le opportunità che l’ambiente offre. Ciò che noi chiamiamo “significato” e che impariamo ad attribuire consapevolmente alle nostre azioni e agli eventi del mondo sulla base della loro reciproca dipendenza, è il prodotto di una retroflessione cognitiva (e linguistica) su questa dinamica di interazione ecologica fondamentale. I neuroni canonici di F5 sembrano poter rispondere al problema di come le grandi scimmie e noi riusciamo ad “estrarre” il significato (ipotesi d’azione) dagli oggetti del nostro ambiente, fornendo una possibile base organica alle attività semantiche più apparentemente raffinate come il linguaggio e la concettualizzazione. Ma, oltre agli oggetti che il nostro cervello elabora sulle base delle sue possibilità motorie, il nostro ambiente è pieno della presenza di corpi simili a noi, individui che agiscono e rispetto agli atti dei quali dobbiamo imparare a regolarci.***

Qui arriviamo ai neuroni specchio. La scoperta più importante del gruppo di Parma fu quella di osservare che nella corteccia premotoria è presente un secondo tipo di neuroni visuo-motori. Affini per caratteristiche motorie ai neuroni canonici, i cosiddetti neuroni specchio erano però caratterizzati da un’attività di scarica sia durante l’esecuzione di specifici atti sia durante l’osservazione degli stessi da parte di altri individui, anche in questo caso con diversi gradi di congruenza e sequenzialità. Questa scoperta è di fondamentale importanza perché ci consente finalmente di fornire un sostrato neurobiologico alla nostra capacità di comprendere le azioni altrui come dotate di significato. In altri termini, la comprensione delle azioni altrui come dotate di significato (tendenti ad un fine/conseguimento) non è il frutto di una giustapposizione dei movimenti osservati dall’altro attraverso una ricostruzione inferenziale, quanto il riconoscimento immediato ed automatico di un atto visto con le nostre stesse azioni. Quando osserviamo gli altri il nostro sistema motorio si attiva in modo corrispondente a quello che osserviamo, risultando poi inibito dall’attività di altre popolazioni di neuroni (suppression mirror neurons). Dalla continua associazione visivo-motoria della fase di apprendimento in uno specifico ambiente socioculturale risulterà, come nel caso dei neuroni canonici, la formazione di pattern di comprensione-azione relative alle azioni altrui, dunque la possibilità di interagire in modo significativo con gli altri membri del gruppo sociale.

Ulteriori esperimenti hanno portato a scoprire nuovi aspetti della comprensione motoria realizzata grazie a quello che col tempo è stato definito “meccanismo a specchio” (MM, mirror mechanism), di modo da intendere la funzione di un insieme di circuiti neurali via via scoperti e localizzati in varie aree del cervello umano. Ad esempio, è stato provato che tale meccanismo si attivi maggiormente durante l’osservazione di attività compiute da individui della stessa specie, mentre non suscita nessuna risposta suscita quella di azioni non presenti nel vocabolario d’atti del proprio sistema motorio (come l’abbaiare di un cane).**** Sono presenti differenze simili anche tra membri della stessa specie, sulla base delle differenze di esperienza motoria individuale, come mostrato da un esperimento nel quale l’attivazione di aree legate a MM durante l’osservazione di passi di danza fosse maggiore in danzatori esperti. Esperimenti dello stesso tenore col tempo misero in luce come altre caratteristiche modulino la possibilità della cognizione motoria, quali l’appartenenza allo stesso sesso o uno stesso gruppo etno-culturale, la vicinanza e l’affiliazione con i soggetti osservati, etc.

Da questo insieme di ricerche emerge una serie di conclusioni interessanti. Innanzitutto, esiste un tipo di “comprensione” del nostro ambiente e degli altri con caratteristiche diverse da una conoscenza teorica e proposizionale che si può avere di un evento o di un fatto. La “comprensione” realizzata dai neuroni di cui abbiamo parlato è un fenomeno immediato, realizzato in modo automatico e preriflessivo: non si tratta di una consapevolezza esplicita della somiglianza o identità tra i suoi atti eseguiti e quelli dell’individuo osservato, né delle caratteristiche strumentali degli oggetti a cui va incontro. Il tipo di comprensione a cui Rizzolatti & co. si riferiscono è piuttosto una capacità di riconoscimento e identificazione, una capacità interpretativa “innata” di vedere negli oggetti le loro possibilità d’azione e negli atti degli altri specifiche interazioni con altri gesti ed altri oggetti a cui noi stessi facciamo ricorso. Questo riconoscimento è permesso dal riferimento costante alle possibilità motorie del proprio corpo, mappate nel proprio cervello e messe in relazione alle attività di altri sistemi neurali (come quello visivo), di modo da acquisire delle informazioni per rispondere in modo adeguato alle situazioni ambientali e sociali. Questo non preclude ovviamente la possibilità della comprensione di carattere linguistico, proposizionale ed astratto, né limita l’importanza che tale modalità epistemica assume per la nostra specie. Al contrario, è molto probabile che tale comprensione interagisca continuamente con quella motoria (ed affettiva) e che essa ci permetta di realizzare simulazioni e piani d’azione complessi anche quando quest’ultima non è presente.

In secondo luogo, è stato proposto che MM fornisca una base per lo sviluppo di forme di imitazione e di apprendimento sociale. la continua associazione tra l’osservazione dei gesti altrui con l’esecuzione dei medesimi potenzia le capacità dell’individuo di apprendere complesse esecuzioni di movimenti. L’imitazione in senso stretto è una capacità certamente implementata dallo sviluppo dei neuroni specchio, ma come osservato da Rizzolatti e Sinigaglia, essa rimane una potenzialità secondaria e derivata rispetto a quella della cognizione sociale. MM garantisce la possibilità dell’apprendimento per imitazione in quanto permetterebbe la corrispondenza tra l’osservazione di un’azione e un’attivazione congruente del sistema motorio. Il continuo esercizio motorio coadiuvato dalla visione consente lo stabilizzarsi di complesse catene d’azione: diventiamo bravi ad eseguirle, le vediamo e capiamo meglio negli individui più esperti (atleti, lavoratori, musicisti, etc.) e così via. Al tempo stesso, però, l’imitazione necessita di una serie di altri meccanismi che regolino l’attività di MM. Imitare tutto ciò che vediamo fare da altri individui del gruppo non è una buona strategia. Il meccanismo specchio sostiene l’attività di apprendimento per tale via, ma non copre tutto quello che avviene nelle nostre interazioni di acquisizione sociale. Un individuo non deve imitare né assumere le prospettive di tutto quello che vede, quanto piuttosto deve “imparare ad imparare”, comprendere quali azioni eseguire effettivamente e quali inibire e controllare, facilitare le azioni potenziali (evocate automaticamente) utili nelle sue circostanze e quelle che non lo sono. Per fare ciò, il sostrato neurale di MM non basta, ma è necessaria l’integrazione con altri sottosistemi cerebrali e con l’ambiente socioculturale di sviluppo.*****

In ultimo, noi condividiamo con gli altri anche le nostre sensazioni interiori e le nostre emozioni. Sappiamo riconoscerle nei loro visi e nei loro gesti, sappiamo regolarci su di esse in base ai nostri scopi e pianificare le nostre azioni tenendo conto di ciò che noi e gli altri proviamo o potremmo provare. Il neuroscienziato Vittorio Gallese ipotizzò che anche la comprensione delle emozioni (e la loro attribuzione negli altri) potesse essere supportata, come le azioni, dai meccanismi specchio. L’empatia, intesa come comprensione pre-teorica dello stato emotivo altrui, è già presente durante l’osservazione delle espressioni e dei comportamenti delle altre persone? È possibile che anche il fenomeno dell’empatia sia dovuto ad un effettivo rispecchiamento del gesto espressivo/emotivo altrui e non ad un ragionamento inferenziale? Se fosse così, ciò significherebbe che quando vediamo qualcuno esprimere un’emozione noi riconosciamo automaticamente la tonalità emotiva dell’altro, che noi “sentiamo” ciò che lui sente (inibendone però l’espressione). L’ipotesi di Gallese si rivelò fondata quando venne scoperta l’esistenza nel cervello degli esseri umani (e non di altri primati) di un secondo meccanismo specchio oltre quello parieto-frontale, localizzato questa volta nelle aree del sistema limbico come la corteccia cingolata, l’amigdala e l’insula. Anche il processo di riconoscimento empatico, dunque, costituirebbe una forma di risonanza diretta con gli altri individui. Quando vedo qualcuno ridere, si attiva in me lo stesso circuito cerebrale (corteccia cingolata) che si attiva quando rido. Lo stesso circuito è già responsabile per l’attivarsi di una sensazione affettiva: quindi, io capisco il significato emotivo del riso altrui perché dentro di me possiedo un sistema che mi fa “ridere” e mi fa sentire quello che io e l’osservato proviamo quando ridiamo. Anche in questo caso, l’attivazione e la comprensione avvengono ad un livello già automatico e preriflessivo, senza una deliberazione o una “volontà” di simulare l’espressione/emozione altrui.******

Un altro famoso neuroscienziato, Vilayanur Ramachandran, ha definito i neuroni specchio il “sacro Graal” delle neuroscienze. Non è difficile capire il perché di tale affermazione, non soltanto per l’importanza di questi studi in campo medico (ricerche sull’autismo, riabilitazione motoria e altro ancora) o nella preparazione sportiva. Il punto è che questi neuroni sembrano veramente poter gettar luce sulla base biologica che ci consente di attribuire significato alle azioni ed emozioni, altrui ma anche nostre. Bisogna ricordare che la biologia e il cervello non sono tutto, e sarebbe stupido pensare di ridurre le dinamiche di sviluppo e culturali al funzionamento di un gruppo di neuroni (Rizzolatti, Gallese & co. sono sempre stati chiari su questo). Ma la comprensione di questi permette lo sviluppo di un sapere integrato, in cui possiamo cercare di comprendere come le dinamiche semiotiche e socio-culturali si intersecano con le strutture biologiche dei nostri corpi e dei nostri cervelli, influenzandosi a vicenda. E in questo gli studi dei neuroni specchio hanno un notevole merito concettuale: quello di aver affondato un colpo molto importante al cognitivismo e in tutte quelle correnti (cognitive e filosofiche) che considerano la mente come un elaboratore di informazioni e dati in una forma astratta (visione che rimane centrale nella maggior parte dei progettatori di AI). Gli studi del team di Rizzolatti mostrano che la comprensione è strettamente legata al corpo che abbiamo, alle nostre possibilità motorie, alle interazioni intersoggettive con altri individui di cui impariamo a comprendere le azioni ed emozioni e da cui impariamo a comprendere le nostre.

Libro accessibilissimo grazie a una scrittura molto fluida e ad una spiegazione particolareggiata (ma comunque semplice) dei vari temi ed esperimenti specifici. Punti in più per le bellissime illustrazioni e immagini utilizzate e per la bibliografia.

NOTE PER GLI AVVENTUROSI
Spoiler:
*Il motivo evolutivo di questa lateralizzazione è stato esplorato ad esempio da Corballis (vedi saggio precedente) e probabilmente legato allo sviluppo del linguaggio
** p. 46.
*** Com’è possibile tutto ciò? Per capirlo dobbiamo rifarci al lavoro dello psicologo americano James Gibson, il cui lavoro a partire dagli anni ’60 contribuì al formarsi di una nuova proposta per lo studio della visione nota come “approccio ecologico alla percezione visiva”. Il concetto portante della sua teoria è quello di affordance, che potrebbe essere liberamente tradotto in italiano come “invito all’uso” o più generalmente “opportunità”. Secondo lo psicologo, quello che gli animali vedono quando osservano il proprio ambiente non è un insieme di caratteristiche fisico-numeriche neutre poi elaborate cognitivamente per eseguire degli output motori: al contrario, l’atto del guardare è già l’estrazione di una serie di possibilità motorie offerte dalle proprietà geo-volumetriche degli oggetti, delle opportunità di agire . Un albero è visto come “scalabile”, il terreno come “percorribile”, il cibo come “mangiabile”, etc. Gli oggetti suscitano azioni possibili, affordances, sulla base della loro caratteristiche fisiche, le quali vengono estratte dall’organismo sulla base delle sue possibilità motorie: l’albero sarà qualcosa di “arrampicabile” per un animale che può arrampicarsi, un oggetto sarà afferrabile per un animale dotato di mani e così via. In questo senso, è chiaro perché l’approccio di Gibson sia ecologico. L’ambiente è sempre visto come un campo di possibilità estraibili sulla base delle caratteristiche fisiche degli stimoli al suo interno, che sono sempre interpretati come tali dagli organismi in virtù delle proprie possibilità motorie. La percezione visiva è percezione di affordances, intese come proprietà relazionali derivanti dall’incontro tra le possibilità motorie dell’organismo e le caratteristiche degli oggetti percepiti. Quello che vediamo è “ciò che possiamo fare”.
**** Questo non significa che la comprensione del fatto che un cane sta abbagliando ci sia preclusa: semplicemente, il tipo di relazione epistemica in questo caso si riferirà prevalentemente all’attività del sistema visivo e, probabilmente e successivamente, alle conoscenze mnemoniche e concettuali-linguistiche archiviate in altre zone del nostro cervello.
*****Insomma, il sistema motorio determina ciò che vediamo non soltanto nel senso che direziona e regola l’attività fisica della visione – molti sono i collegamenti che trasmettono “all’indietro”, dal sistema motorio alle aree occipitali e al talamo – ma anche nel senso che il continuo e costante accoppiamento delle nostre azioni (potenziali quanto effettive) agli oggetti ed agenti del nostro mondo modifica il modo in cui il nostro corpo impara a guardarli. In questo senso, noi non apprendiamo soltanto ad imitare i gesti degli altri attraverso la continua interazione visuo-motoria, che pure risulta un’abilità necessaria per integrarci nel contesto sociale della nostra specie, ma anche a legare le attività altrui in catene sempre più estese di atti, a riconoscere man mano i possibili significati che esse aprono a livello di interazione con altri oggetti e con le nostre risposte. Così il meccanismo specchio ci permette non tanto di imparare ad imitare i gesti degli altri per agire nello stesso modo, quanto proprio ad “imparare a vedere” le loro azioni, a riconoscerle come dotate di più possibilità di interazione, di “fini” da raggiungere, di intenzioni (nel senso di “tendenze a”), di significato. E facendolo con gli altri, finiamo inevitabilmente con il farlo anche con noi stessi.
****** L’empatia non implica necessariamente che si provi effettivamente un coinvolgimento emotivo nei confronti dell’osservato, così come l’attivazione dei neuroni specchio parieto-frontali non implicava l’effettiva esecuzione dell’azione, che era inibita grazie ad altri meccanismi. L’effettivo coinvolgimento con ciò che gli altri provano richiede l’azione di altri sistemi ed è modulato da una serie di altri fattori quali l’appartenenza ad uno stesso gruppo socioculturale, il contesto e il tipo di relazione che sussiste tra osservatore e osservato. Diversi dall’empatia sono così anche tanto la condivisione emotiva (il ridere/piangere/arrabbiarsi assieme di fronte alla stessa situazione, che può potenziare le emozioni provate) quanto il “contagio emotivo”, che può risultare quando a seguito dell’osservazione di un’espressione siamo portati ad imitarla e a provare l’emozione corrispondente (ridiamo perché vediamo qualcuno ridere). In ogni caso, comprendere gli altri individui e le loro azioni come dotata di tonalità emotiva non richiede necessariamente nessuno di questi fattori. Al tempo stesso, come nel caso del riconoscimento delle azioni, non sto nemmeno affermando che MM copra tutti i casi di riconoscimento empatico o risulti sufficiente per capire sempre cosa gli altri stiano provando. MM fornisce una base neurobiologica fondamentale e risulta spesso decisiva o preponderante, ma (soprattutto in casistiche più articolate) possono essere ugualmente necessari ulteriori processi di attribuzione ed inferenza intenzionali per compiti di cognizione sociale, così come è possibile attuare pianificazioni e simulazioni volontarie per tener conto delle emozioni proprie e altrui durante le proprie azioni.

Avatar utente
Inklings
Messaggi: 5248
Iscritto il: 20/01/2016, 12:54
Città: No ai messaggi privati
Has thanked: 853 times
Been thanked: 1156 times

Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

11/52

Non pensavo di durare così tanto onestamente :boh:

Immagine

Quammen è un giornalista scientifico che si occupa di ambiti biologici ed evoluzionistici. Questo libro è il frutto di più di un decennio di spedizioni, ricerche, interviste a studiosi (virologi, epidemiologi) e personaggi chiave di alcuni eventi epidemici e raccolte di dati. Il libro esce nel 2012, ha un buon successo di pubblico ma sembra finire lì. Poi nel 2020 diventa un best seller. Motivo? Nel libro Quammen aveva dedicato un capitolo ai Coronavirus e all'epidemia di Sars-COV-1, concentrandosi non solo sulla dinamica infettiva ma anche sulle condizioni ecologiche, sanitarie e sociali che presumibilmente avevano portato alla sua emergenza, avanzando anche una previsione su una possibile epidemia futura da parte di questa classe di virus...

Tuttavia Spillover è molto più di una previsione di Cassandra rimasta inascoltata. Il tema del libro sono le zoonosi, ossia quelle malattie infettive di origine animale (non endemiche a Homo sapiens come, chessò, il morbillo) che in alcune circostanze possono diffondersi da ospiti serbatoi naturali alla nostra specie attraverso il cosiddetto "salto di specie". I capitoli sono dedicati di volta in volta a uno specifico patogeno (virus, batteri, etc.) di cui vengono indagati la modalità di diffusione, la sintomatologia, la storia evolutiva, il contesto ecologico e gli eventi epidemici correlati, tutto in linguaggio semplici ma comunque piuttosto approfondito.

Il fil rouge del saggio è la cosiddetta Next Big One, ossia l'idea diffusa tra gli epidemiologi per cui i contesti ecologico-culturali del mondo contemporaneo avrebbero aumentato le possibilità di emergenza di una pandemia ad opera di un patogeno presente in qualche specie animale da noi "disturbata". Per questo motivo i ricercatori e studiosi del libro hanno studiato i patogeni di molteplici luoghi del mondo nella speranza di sviluppare trattamenti e metodi di prevenzione per questi eventi.

Da questo punto di vista, il libro di Quammen è molto più interessato alla prospettiva evolutiva ed ecologica che a quella sanitaria. Quest'ultima rimane presente e analizzata nel dettaglio, con parti dedicate a specifici aspetti di epidemiologia (R0, teorie di trasmissibilità, etc.), ma è evidente che il problema maggiore secondo l'autore e gli intervisti è piuttosto la comprensione dei rapporti ecologici tra i patogeni, le specie serbatoi e gli ambienti in cui noi umani entriamo in contatto con loro. Perché virus come Hendra si sono trasmessi ai cavalli (e da lì a noi) solo alla fine del secolo scorso pur essendo presente nei pipistrelli australiani da milioni di anni? Qual è la storia evolutiva di HIV? In che modo le pratiche alimentari e culturali di alcune popolazioni umane favoriscono la trasmissione di Ebola, Nipah, Sars-COV-1? Come si può agire rispetto ad esse?

Il testo di Quammen ha il merito di rendere disponibili al grande pubblico una serie di ricerche complesse e in via di sviluppo che hanno un'importanza fondamentale per gli anni a venire. Ci aiuta a comprendere come le pratiche della nostra specie si leghino all'esistenza di altre specie adattate alla coesistenza con patogeni davanti ai quali noi siamo inermi, ci aiuta a considerarci come parte attiva di un vasto intreccio ecologico ed evolutivo di cui fanno parte anche virus e batteri che lottano per diffondersi e per i quali siamo ottimi veicoli di diffusione. Si tratta di ricerche fondamentali sia a livello delle società che (come questi ultimi 3 anni hanno insegnato) dovranno essere sempre più pronte a fronteggiare epidemie e pandemie che si rendono probabili in futuro.* Per il singolo, offrono una maggiore comprensione e cautela rispetto ai comportamenti potenzialmente rischiosi che adottiamo quando viaggiamo e nella nostra quotidianità, oltre ad aprire una finestra su alcuni eventi storici che hanno determinato degli importanti cambiamenti per la nostra specie (molto bello su questo il capitolo dedicato ad HIV, scritto quasi come se fosse una detective story).

NOTA:
Spoiler:
* Quali sono quelle più probabili? Difficile a dirsi. I Coronavirus hanno avuto gioco facile per la loro modalità di diffusione e per la loro relativamente bassa letalità. Insomma, difficilissimo se non quasi impossibile che tocchi a robe come Ebola, Rabbia o Marburg. Però non è detto che si tratterà sempre di virus a bassa letalità. Il grosso discrimine tra Sars-COV-1 e Mers, da una parte, e Sars-Cov-2 (le prime rimaste poco diffuse, la seconda pandemia), non è tanto la molto minore letalità del secondo, quanto il periodo di manifestazione dei sintomi: in altre parole, nei primi due il virus diventava trasmissibile quando erano già emersi i sintomi (ergo, le persone andavano poco in giro e la maggior parte della trasmissione avveniva tra gli operatori sanitari), nel secondo come sappiamo la finestra di trasmissione emergeva prima dei sintomi. Per dire che potrebbe benissimo emergere un patogeno sia abbastanza letale che altamente trasmissibile. Quammen pensa che uno dei più probabili possa essere un virus dell'influenza come H5N1, ossia il virus dell'aviaria.

Avatar utente
Hard Is Ono
Messaggi: 3058
Iscritto il: 10/01/2018, 20:04
Has thanked: 115 times
Been thanked: 419 times

Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Hard Is Ono »

Io c'ho provato un po' a seguirti ma è un format a cui non riesco a stare dietro.

E che ha la responsabilità morale della collusione con l'assassinio del torneo dei Simpson.

Avatar utente
Inklings
Messaggi: 5248
Iscritto il: 20/01/2016, 12:54
Città: No ai messaggi privati
Has thanked: 853 times
Been thanked: 1156 times

Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

Ci sta, lo capisco :triste:

Se ti può consolare non so manco quanto riuscirò ad andare avanti pure io, troppe robe nella vita vera :facepalm2:

Resterà come un’impronta nella sabbia in attesa di scomparire o come necroposting di qualcuno che legga un saggio e c’abbia voglia di buttare due righe.

O lo prenderà in scacco Depeche Boy :boh:

Avatar utente
FantOs
Messaggi: 361
Iscritto il: 26/11/2019, 23:03
Città: You can try...
Has thanked: 46 times
Been thanked: 113 times

Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da FantOs »

Inklings ha scritto: 11/03/2023, 10:07 11/52
Questo è piaciuto anche a me Ink. Me lo ha consigliato durante la pandemia un'amica che studia biologia o qualcosa di simile. Al netto di alcune cose specifiche che ho dovuto cercare, era comprensibile anche per dummy come me in materia. Impressionante la parte in cui "anticipa" il Covid. Ancor più interessante la questione di come i rapporti uomo/animali abbiano influenza su alcune malattie note.

Avatar utente
Inklings
Messaggi: 5248
Iscritto il: 20/01/2016, 12:54
Città: No ai messaggi privati
Has thanked: 853 times
Been thanked: 1156 times

Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

Sì, a leggerlo oggi fa veramente impressione in alcune parti, e probabilmente negli anni futuri potremmo ritornare a leggerlo con un misto di apprensione e delusione. La cosa più più notevole è osservare la quasi totalità dei ricercatori e studiosi intervistati che, pur mantenendo una cautela di fondo, erano abbastanza certi che la Next Big One fosse solo una questione di tempo, quando la vulgata classica della pandemia fosse quello di un evento imprevedibile e inevitabile (che è vero nella prospettiva degli organi che hanno dovuto affrontarla a livello locale e che difficilmente potevano essere pronti, ma a livello mondiale…).

A Quammen va riconosciuta una scrittura molto chiara e facilitante (anche quando spiega robe molto complesse come il ciclo di vita del Plasmodio della malaria o gli approcci matematici alla trasmissibilità) oltre che buona ironia e inventiva, mentre imho la capacità di narratore e le parti descrittive lasciano un po’ più a desiderare (aveva iniziato la sua carriera come romanziere, ma non era andata molto bene…). Però sì, nel complesso un libro accessibile a chiunque e capace di aprire a qualsiasi nuovo lettore un mondo nascosto e affascinante.

Rimanendo in tema, ultimi due giorni mi sono beccato una bella gastroenterite e mi ha fatto senso pensare che dei robi così minuscoli possano rompere così tanto i coglioni :arrabbiato:

Avatar utente
CombatZoneWrestling
Messaggi: 3469
Iscritto il: 22/10/2014, 22:36
Località: Most Improved User 2020
Has thanked: 1130 times
Been thanked: 616 times

Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da CombatZoneWrestling »

Onore a Ink per quello che sta facendo

Avatar utente
Inklings
Messaggi: 5248
Iscritto il: 20/01/2016, 12:54
Città: No ai messaggi privati
Has thanked: 853 times
Been thanked: 1156 times

Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

12/52

Questo è un saggio tostino (soprattutto per la lunghezza), ma assicuro a chi volesse provare a leggerlo che ne vale la pena (poca, per gli amanti della lettura).

Immagine

Quello di oggi è un saggio veramente particolari, uno dei più strani che abbia mai letto e che probabilmente potrò mai leggere. Il suo autore,
Douglas Hofstadter, è un intellettuale poliglotta, amante delle belle arti e della musica, scrittore originalissimo e pensatore versato in molte discipline, tra cui la fisica, l’informatica, la filosofia e, soprattutto, la matematica. Il mio primo approccio con lui è stato un testo curato a 4 mani con il filosofo Daniel Dennett, L’io della mente, in cui in realtà si limitava a raccogliere un insieme di saggi contemporanei sul tema della coscienza, analizzarli e criticarli in modo approfondito. Nulla di ché, ma la sua capacità di ragionamento mi ha colpito già leggendo quel testo e mi ha convinto a dar fiducia anche a questo scritto (che comunque ha vinto il Pulitzer per la saggistica nel ’79, mica bruscolini).

Questo libro invece (da qui in poi lo abbrevio in GEB, come del resto fa lui) ho iniziato a leggerlo perché pensavo trattasse di matematica e, siccome sono sempre stato abbastanza incapace in merito, volevo cercare di capire meglio la disciplina (che comunque studiando altre cose finivo sempre per trovarmela tra i piedi). In realtà mi ritrovo tra le mani un enigma complesso di cui non capisco bene il senso. Sì, parla effettivamente di matematica; sì, spiega Euclide, Peano, Russell, Godel in un linguaggio e un modo da renderli pure comprensibili (e interessanti) a un niubbo come me. Però parla anche di musica, di computer, di società di insetti, di codici linguistici, di neuroni e di geometrie impossibili… e tutte queste cose, dice l’autore, in realtà sono una porta di accesso a comprendere la mente umana.

Il tema fondamentale di GEB, per come l’ho inteso, è l’autoreferenza, la capacità di alcuni sistemi di riferirsi a sé stessi. Questa capacità sistemica, per Hofstadter, è uno degli aspetti centrali indagati storicamente (nelle sue possibilità ma anche nei suoi limiti*) dalla matematica e al tempo stesso la capacità fondamentale della coscienza umana. L’autoreferenza ha delle regole formali e dei meccanismi che la matematica può aiutare a chiarire e aiutarci a vedere nei fenomeni a cui ho fatto riferimento sopra, che in GEB sono utilizzate come analogie e immagini euristiche per parlare della mente. Godel, Escher e Bach sono allora i 3 “eroi” dell’autoreferenza utilizzati come esempi principi di questa dinamica ricorsiva.

Hofstadter non pensa che l’autoreferenza sia un qualche deus ex machina calato dall’alto sulle nostre menti, ma un processo che emerge dalle interazioni di certi sistemi fisici le cui parti si relazionano tra di loro secondo certe regole e in certe gerarchie. Fondamentale, secondo l’autore, è il riferimento al processo algoritmico dei calcolatori, che esprime lo stesso processo alla base dell’emergenza del pensiero dall’interazione dei neuroni nei nostri cervelli. Insomma, un’analogia molto stretta tra cervello e computer, basata su una riflessione matematica** e aperta alla possibilità di generare un’AI forte. Un’idea questa ultima su cui non sono affatto d’accordo, ma ci sarebbe troppo da scriverne e forse me lo riservo per un saggio dove è più opportuno. In più qui è molto ragionata e argomentata molto bene, quindi preferisco riconoscerne il merito di una bellissima esposizione della materia.

Non si tratta di un saggio classico in una prosa identica dall’inizio alla fine. I capitoli si alternano tra esposizioni serrate e intermezzi ludici, dove i concetti vengono esposti attraverso i dialoghi tra personaggi fittizi (Achille, la tartaruga, Zenone, etc.) in uno spirito che ricorda tantissimo Alice nel Paese delle meraviglie. A volte si tratta di paradossi o rompicapi linguistici, a volte hanno la struttura di intermezzo musicale, a volte sono dei veri e propri esercizi di pensiero formale per il lettore. Da questo punto di vista l’intero libro è un enorme gioco per il lettore che voglia lasciarsi catturare dallo spirito di Hofstadter e risulta un’esperienza di lettura interessantissima e molto divertente.

Una lettura sicuramente complessa, ma molto affascinante. Molto più interessante ad aprire domande e prospettive che a dare delle risposte semplici a questioni complesse, molto più rivolta all’esperienza della lettura per il curioso che vi si approccia che all’esercizio di ricavare delle nozioni (cosa in cui comunque riesce abbastanza, primo libro in cui mi è parso di capire qualcosa di matematica). Bonus per le illustrazioni bellissime, i prolegomeni e l’indice riassuntivo dei capitoli che risultano utilissimi per un ripasso alla fine degli stessi e, soprattutto, la bibliografia estesa ragionata con un commento sintetico per ciascun testo (una cosa che mi fa godere tantissimo).

NOTE
Spoiler:
* Bellissimo in questo senso tutte le parti dedicate ai celeberrimi Teoremi dell'Incompletezza di Godel, spiegato in un modo incredibile (facile non è, ma rimane la più comprensibile e migliore spiegazione che abbia mai trovato)
**Ossia in quanto entrambi sistemi gerarchici che manipolano simboli in modo ricorsivo secondo certe regole formali

Avatar utente
Hard Is Ono
Messaggi: 3058
Iscritto il: 10/01/2018, 20:04
Has thanked: 115 times
Been thanked: 419 times

Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Hard Is Ono »

Inklings ha scritto: 17/03/2023, 23:51 Recensione lunghissima
Quando la pioggia estiva coglie di sorpresa il formicaio Johan Sebastian Format e lo scombina per sempre è un momento di grande dramma letterario.

Avatar utente
Inklings
Messaggi: 5248
Iscritto il: 20/01/2016, 12:54
Città: No ai messaggi privati
Has thanked: 853 times
Been thanked: 1156 times

Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

13/52

Immagine

Eccoci, Peter Godfrey-Smith è uno dei miei filosofi e scrittori contemporanei preferiti. Professore australiano amante di scuba diving, ha scritto molti libri di filosofia della scienza, con particolare attenzione alla biologia, affrontando alcuni temi classici del pensiero occidentale attraverso la lente dell'evoluzionismo. Questo libro deriva in parte dal suo "hobby" delle immersioni in mare aperto, dove ha potuto osservare a lungo gli animali protagonisti di questa storia: i polpi.*

I cefalopodi (principalmente polpi, ma in parte anche le seppie) sono da tempo animali molto studiati in quanto mostrano un'intelligenza straordinaria, con grandissime capacità di apprendimento, uso di strumenti, forse forme di segnalazione e comunicazione (basate sul cambio di colore), differenze di "personalità" molto marcate da individuo a individuo. Per gli etologi fu particolarmente straordinario perché prima degli studi accurati sui polpi, solo ai mammiferi come i primati o ad alcuni tipi di uccelli (pappagalli e corvidi) venivano accordati comportamenti ritenuti veramente complessi e "intelligenti" (sorvolo sull'uso di questo termine nella disciplina, che mi provoca un certo fastidio).

In questo senso, i polpi hanno costretto a rivedere certi antropocentrismi nello studio comparato del comportamento, perché essi costituiscono un ramo lontanissimo nella storia della vita e i loro corpi e modalità ecologiche sono quanto di più lontano da noi si potesse immaginare nel mondo animale. Animali solitari, senza cure parentali, privi di mani, dal piano corporeo molle, che vivono nell'acqua, con un sistema nervoso decentralizzato**, con un'aspettativa di vita brevissima (1 anno ca.)***. Praticamente degli alieni, ma per gli etologi anche un esempio di sviluppo del comportamento intelligente che ha seguito un percorso evolutivo diversissimo dal nostro.

Godfrey-Smith non si limita all'analisi dei comportamenti in natura e in laboratorio di questi animali, ma li prende anche come ispirazione per riflettere sulla natura della pensiero e della coscienza, in una prospettiva evolutiva ed ecologica. Ampio spazio è dedicato all'evoluzione dei sistemi nervosi, la cui comprensione, secondo il pensatore australiano, può essere illuminata dal caso dei molluschi e dalle differenze che intercorrono tra loro e i vertebrati.**** Il testo spazia dal resoconto di esperimenti e studi comportamentali al confronto con temi e pensatori della nostra tradizione scientifica e filosofica (es. Hume sul tema del sé) e da questi al racconto di esperienze di immersione e contatti del con alcuni individui a 8 tentacoli rimasti impressi nella memoria dello scrittore, oltre ad un accorato richiamo all'attenzione per la tutela della vita marina.

Lettura molto profonda e toccante, penso tra i più piacevoli saggi scientifici (ma non solo) che mi sia capitato di leggere. Plauso anche alla collana Animalia di Adelphi, che sta traducendo degli studi veramente avvincenti sul mondo animale.



NOTE:
Spoiler:
* A largo dell'Australia c'è un sito molto speciale denominato Octopolis. L'interesse verso questo luogo, che in realtà ha un'origine "artificiale" visto che è formato da accatastamento di oggetti, metalli, conchiglie che forniscono riparo per i cefalopodi, si deve a fatto che per molto tempo i polpi sono stati considerati animali solitari e non socievoli, mentre qui arrivavano a costituire gruppi di più di una decina di esemplari che mantenevano relazioni stabili tra loro, mostrando comportamenti inediti.
** Come è noto, i polpi hanno un sistema nervoso esteso in tutto il corpo. Ognuno dei tentacoli ha una propria organizzazione nervosa e dunque una certa indipendenza motoria e sensoriale dal resto del corpo. Insomma, è più o meno come se avessero 9 cervelli. La cosa affascinante è che sembra possano switchare da modalità di controllo "locale" (il singolo tentacolo che si comporta con una certa indipendenza ed esplora l'ambiente "per conto proprio") a "centrale" (movimento coordinato di tutte le parti). Godfrey-Smith ha suggerito che possano essere simili agli umani con split brain, ipotesi abbastanza intrigante.
*** Probabilmente parte di questa brevità di vita è dovuta all'enorme consumo energetico richiesto per il loro sistema nervoso esteso.
**** Godfrey-Smith ha dedicato in modo esteso il suo ultimo libro a questo tema, Metazoa. Una lettura bellissima, ma anche piuttosto complessa e che presuppone alcune basi sui temi di cui tratta.

Avatar utente
Inklings
Messaggi: 5248
Iscritto il: 20/01/2016, 12:54
Città: No ai messaggi privati
Has thanked: 853 times
Been thanked: 1156 times

Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

14/52

Primo testo di una materia che mi piace moltissimo e di cui mi è presa la scimmia negli ultimi anni di Uni, spero di riuscire a portarne altri e di poter fare interessare qualcuno perché merita.

Immagine

Christof Koch è uno dei più grandi neuroscienziati contemporanei, un pioniere degli studi scientifici sulla coscienza. La neurobiologia ha iniziato abbastanza di recente a occuparsi di questo problema – rimasto per secoli nell’alveo della speculazione filosofica – offrendo la possibilità di studiare le basi neurali delle percezioni coscienti attraverso le moderne tecniche di neuroimaging.* Un impulso a questi studi si deve all’interesse di Francis Crick, scopritore del DNA (per cui prese il Nobel insieme a Watson) che, dopo aver dedicato decenni allo al mistero della vita e alle sue basi molecolari, sentì lo stimolo di approcciare il nuovo grande mistero della coscienza e delle sue basi neuronali. Koch ha studiato proprio presso Crick, e questo libro costituisce una sintesi di più di un decennio di studio in questo campo.**

L’aspetto interessante di questo libro è che offre non tanto una teoria della coscienza, quanto una metodologia atta a definire cosa andrebbe spiegato e quale tipo di spiegazione scientifica serva. La cosa da spiegare è il fatto che alcune configurazioni neurali corrispondono a scene percettive, sensazioni, esperienze vissute in prima persona; qual è il valore di questa esperienza in prima persona per l’organismo; dal punto di vista evolutivo, come è potuta emergere questa dimensione. Il tipo di spiegazione deve passare per la definizione di quei processi per cui gli stimoli vengano recepiti, trasformati e processati dagli organi di senso al cervello, e di quali siano le basi neurali corrispondenti alle esperienze coscienti. La coscienza sarebbe così una proprietà emergente dei processi cerebrali, servirebbe a trattenere un’informazione per alcuni secondi in modo da seguire compiti non di routine. Si innesta su una serie di processi di elaborazioni inconsci di uno stimolo (immaginiamola come la punta di un iceberg) che avviene nel tempo di qualche centinaio di millisecondi: un’immagine visiva cosciente è un costrutto di cui noi vediamo il prodotto finale (la scena con gli oggetti etc.) ma non i meccanismi che hanno portato a limare le ambiguità, i contrasti di colore, etc.

Il punto è importante: Koch (e Crick) precisano che non si parla qui di “causazione” ma di “correlazione”.*** Ossia, il punto di partenza è constatare che certe configurazioni neurali – che sono il termine di un processo di elaborazione dell’informazione attraverso varie aree cerebrali in un tempo brevissimo – corrispondono a certe esperienze da parte di un soggetto: detta brutta, quando il gruppo di neuroni x scaricano, il soggetto prova y. Si parla di così di Correlati Neurali della Coscienza (NCC), i gruppi neuronali minimi sufficienti a permettere un’esperienza cosciente di x. Koch le identifica principalmente con gruppi neuronali della corteccia prefrontale e argomenta lungamente questa posizione adducendo molti dati, ma ritengo che questa conclusione specifica non sia così importante per apprezzare il concetto.

Se devo essere sincero sono abbastanza in disaccordo con molte posizioni espresse da Koch. A partire dal concetto di NCC, che rischiano di essere una riduzione semplicistica delle percezioni coscienti: a bene vedere durante una percezione di un qualche tipo è vero che ci sono delle aree specifiche che scaricano, ma è anche vero che lo facciano in concerto con molte aree in una sincronizzazione di ritmo. Insomma, i NCC sono integrati in un’attività corale della corteccia ad ampio raggio.**** In secondo luogo, Koch si limita allo studio della percezione visiva*****, che è una modalità percettiva interessantissima e molto studiata, ma comunque parziale rispetto alle modalità della nostra vita mentale (per dirne una, le emozioni non sono particolarmente prese in considerazione). Oltre a questo, Koch utilizza in modo un po’ ingenuo una serie di termini come “rappresentazione”, “homunculus”, “inconscio”, che hanno una lunga storia concettuale, ma senza curarsi troppo di definirli in modo non ambiguo.

Nonostante questo, il testo di Koch è un’esposizione indispensabile per chiunque voglia interessarsi di questi temi. Ha definito uno standard scientifico rigoroso per chiunque voglia studiare queste tematiche. L’analisi è molto dettagliata ma anche scorrevole e molto chiara, il ché consente anche di poterlo trattare come un buon entry level per i non addetti ai lavori (come me, del resto). Non facile, come non lo è la materia, ripaga lo sforzo e apre prospettive nuove per guardare ai processi della nostra esperienza. Ottimo nella descrizione dei meccanismi cerebrali e in particolare di quelli dell’elaborazione visiva, che sono veramente affascinanti.

NOTE:
Spoiler:
*Che coscienza e cervello siano strettamente connessi è una nozione acquisita fin dai tempi antichi, dovuta a varie osservazioni sui danni provocati da lesioni alla testa. Si è imposta sempre di più a parte dai primi studi anatomici sul cervello nel XVII (soprattutto ad opera di “medici” britannici), nonostante la filosofia cartesiana abbia interpretato questa relazione in un dualismo mente-corpo (la coscienza sta nel cervello, ma costituisce una sostanza a parte rispetto ad esso). Dal XIX secolo – con la frenologia, gli studi di Broca e altri – si è iniziato a porre il problema di localizzare le funzioni mentali in specifiche aree cerebrali, processo che nel XX secolo ha visto il suo apogeo, ad esempio con gli studi sulle mappe cerebrali sensoriali e motorie di Wilfred Penfield e con lo sviluppo di tecniche come stimolazioni, fMRI, PET, etc. Un bel testo con questo approccio storico (la prima parte, la seconda è un po’ più speculativa ma comunque molto interessante) è La coscienza è un istinto, di Michael Gazzaniga.
**Crick era già anziano durante questi studi, e purtroppo non fece in tempo a vedere questo libro pubblicato, per cui scrisse la prefazione. Koch glielo dedica e ci chiede di pensarlo come se fosse scritto a 4 mani.
***Un filosofo contemporaneo, David Chalmers, ha popolarizzato l’espressione hard problem della coscienza: perché alcune configurazioni neurali corrispondono ad esperienze coscienti? Perché i comportamenti e le percezioni non avvengono “al buio”, ma sono correlati ad un’esperienza “in prima persona”? A differenza dell’easy problem (capire i meccanismi elettrochimici e funzionali delle aree cerebrali), questa secondo Chalmers è una domanda su cui i neurobiologi non possono rispondere (personalmente ritengo che la domanda così posta potrebbe non avere molto senso, ma sarebbe lunga da discutere e ci sarebbe da speculare parecchio). Koch aggira il problema: la correlazione tra i due eventi è un dato di fatto da accettare, e l’oggetto di studio è come (e non perché) questa correlazione avvenga.
****C’è da dire che Koch fa comunque riferimento a questo aspetto, e nel suo libro più recente (Sentirsi vivi) afferma di concordare con teorie della coscienza di natura olistica (in particolare, la teoria dell’informazione integrata di Giulio Tononi).
*****Tra l’altro in un modo con cui non concordo per niente, appoggiando la cosiddetta snapshot conception: in pratica la percezione visiva sarebbe per lui una serie di immagini visive statiche con diverse estensioni temporali giustapposte una dopo l’altra, un po’ come i fotogrammi nei film.
Ultima modifica di Inklings il 07/04/2023, 9:47, modificato 1 volta in totale.

Avatar utente
Inklings
Messaggi: 5248
Iscritto il: 20/01/2016, 12:54
Città: No ai messaggi privati
Has thanked: 853 times
Been thanked: 1156 times

Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

15/52

Manco la Pasqua mi fermerà :zombie:
Spoiler:
Però la metto ora che prossimi giorni chi c'ha cazzi :trollface:
Immagine

Questo saggio è una breve e semplice introduzione alle meraviglie del mondo vegetale scritta a quattro mani da un grande studioso internazionale di botanica e una giornalista scientifica. Mancuso dirige il Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale, un approccio nato alla fine degli anni Duemila dalle menti di un gruppo di ricercatori che proposero di guardare alle piante in un modo radicalmente diverso da quanto fatto fino a quel momento. Infatti, per quanto esse costituiscano un regno organico largamente studiato, la prospettiva degli studiosi è stata spesso all’insegna di una comparazione con il mondo animale in cui i vegetali risultavano meno complessi e inferiori, venendo ritenuti passivi, immobili, privi di un’esperienza sul mondo, stupidi.*

Ricerche recenti suggerivano e continuano invece a suggerire una realtà completamente diversa: le piante avrebbero sistemi per memorizzare e apprendere, sono capaci di trovare soluzioni ingegnose a problemi complessi, prendono decisioni in base alle proprie possibilità motorie e sensoriali. Per questo motivo, per quanto possa sembrare un controsenso parlare di Neurobiologia Vegetale (perché le piante effettivamente non hanno un sistema nervoso), scienziati come Mancuso rivendicano la legittimità di una disciplina che cerca di comprendere i processi biologici alla base delle capacità intellettive e sensitive delle piante. Verde Brillante è allora tanto una sintesi di alcuni elementi fondamentali per comprendere la biologia e l’ecologia delle piante, quanto un appello verso i lettori a trattare questa vastissima regione del mondo organico** con maggiore consapevolezza e rispetto.

I capitoli del testo si snodano tra vari aspetti della biologia e del comportamento delle piante. Vengono trattati la loro storia evolutiva, la loro dimensione sensoriale (molto diversa e diversificata rispetto a quella degli animali), le loro capacità comunicative – sia tra di loro, sia come segnali ad altre specie, es. fiori e impollinatori – e, infine, la loro intelligenza. Questo aspetto è particolarmente interessante per me perché (come ho già scritto per il saggio di Godfrey-Smith) anche negli studi sul comportamento per molti decenni c’è stata la tendenza (molto antropocentrica) di accordare l’intelligenza solo alla nostra specie e agli animali complessi ai noi più vicini, come i mammiferi superiori.*** Se però proviamo a guardare l’intelligenza da una prospettiva più ampia, ad esempio come un processo di problem solving nel quale un organismo deve utilizzare le proprie dotazioni e la propria esperienza per risolvere le sfide ecologiche che gli si parano davanti, le piante sembrano corrispondere piuttosto bene a questa definizione.****

Una pianta deve risolvere una serie di sfide complesse per la propria sopravvivenza. Deve trovare le fonti energetiche necessarie al suo metabolismo, come la luce solare e i minerali necessari al suo sostentamento. Per farlo deve competere con altri suoi simili e sfruttare le sue abilità e far fronte alle sue debolezze (come la limitata mobilità), deve sondare con i suoi sensi l’ambiente circostante, può comunicare e formare alleanze con altri vegetali o con dei funghi, che gli sono necessari per prelevare elementi dal terreno che non è in grado di raccogliere da sola.***** In ogni caso, secondo Mancuso, le soluzioni adottate dalle piante per rispondere alle loro sfide ecologiche sono tutt’altro che semplici, ma anzi piuttosto raffinate. Al punto che potremmo prendere ispirazione da loro per nuove innovazioni tecnologiche.******

Lettura breve e scorrevole, ne risulta un’introduzione carina ma anche una prospettiva nuova su una realtà considerata per troppo tempo immobile e dormiente.


NOTE:
Spoiler:
*Questo tanto nel linguaggio comune (pensiamo a quando si dà a un malato del “vegetale”) quanto in larga parte delle riflessioni filosofiche e scientifiche del passato: per Aristotele l’anima vegetativa è il principio organico più semplice, per Linneo le piante costituiscano il gradino più basso della Scala Naturae, e così via.
**Come noto, la maggior parte della biomassa del pianeta è costituita dalle piante e senza di esse sarebbe stato impensabile lo sviluppo e la preservazione della vita animale.
*** Non per forza a caso, perché fattori come capacità simboliche, utilizzo di linguaggi e tecnologie, apprendimento per imitazione, etc. sembrano effettivamente dei buoni indicatori. Non sono gli unici però, e se presi parzialmente possono dare un’immagine distorta dell’evoluzione (banalmente, da un punto di vista evolutivo non garantiscano a priori un miglior adattamento ambientale).
**** Uno dei primi a proporre questo approccio è nientepopodimeno che quella grandissima testa di Charles Darwin, che studiò a lungo orchidee e rampicanti e propose di pensare alle radici come sistemi di “elaborazione” affini ai cervelli degli animali. GOAT.
*****Questo è uno dei miei aspetti preferiti. Praticamente, quasi tutte le piante vivono in simbiosi con varie specie di funghi che stanno attaccati alle loro radici. Questo perché le piante hanno bisogno di elementi del terreno come fosforo e magnesi che gli vengono forniti dai funghi in cambio di zuccheri prodotti con la fotosintesi. A loro volta attraverso questi funghi varie piante possono essere connesse tra loro. La cosa figa è che pare ci siano delle vere e proprie “contrattazioni” tra piante e funghi dove in base alla disponibilità di risorse e richiesta di una delle due parti. Ho finito da poco un bellissimo libro sui funghi che penso di portare, merita moltissimo.
****** Come i plantoidi, una nuova generazione di robot di ispirazione vegetale, o reti che usino le piante come centraline per il monitoraggio e la regolazione di una serie di parametri ecologici (Greenternet).

Avatar utente
ChiliPunk
Messaggi: 1182
Iscritto il: 28/04/2020, 18:28
Has thanked: 240 times
Been thanked: 212 times

Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da ChiliPunk »

Topic incredibile, Altre Menti è uno dei miei saggi preferiti di sempre e il modo in cui l’hai presentato qui mi ha fatto venire voglia di rileggerlo!
Voglio recuperare quello sul transumanesimo che sembra molto interessante, mentre ho già letto i due che hai portato di Quammen e Sacks.
Complimenti, è davvero un piacere leggerti.

Avatar utente
Inklings
Messaggi: 5248
Iscritto il: 20/01/2016, 12:54
Città: No ai messaggi privati
Has thanked: 853 times
Been thanked: 1156 times

Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

ChiliPunk ha scritto: 07/04/2023, 9:54 Topic incredibile, Altre Menti è uno dei miei saggi preferiti di sempre e il modo in cui l’hai presentato qui mi ha fatto venire voglia di rileggerlo!
Voglio recuperare quello sul transumanesimo che sembra molto interessante, mentre ho già letto i due che hai portato di Quammen e Sacks.
Complimenti, è davvero un piacere leggerti.
Thanks :beer:

Se ti è piaciuto Altre Menti ti consiglio anche il suo recente Metazoa, che tratta in modo esteso dell'evoluzione della vita animale e dei processi cognitivi. E' sicuramente impegnativo e più speculativo, ma io l'ho trovato veramente stupendo. Uno dei filosofi contemporanei più originali, un piacere da leggere.

Rispondi