Complice l’ennesima cancellazione di un treno Milano-Bergamo (Trenord merda sempre), ho avuto tempo di leggere il libro del nostro Dario, e visto che ci sono ne approfitto per fare un update di questo topic e fargli un po’ di pubblicità per ringraziarlo della copia gratuita
Cazzate a parte, il libro mi è sinceramente piaciuto. E questo vale sia per il contenuto che per lo stile.
Sul secondo punto cerco di essere breve: ho ritrovato lo stesso modo di esprimersi che Dario usa qua sul forum. Nessun termine eccessivo, una forma molto colloquiale e sintetica che cerca di andare al punto ma senza precludersi qualche riflessione e divagazione più profonda. Mi é piaciuto non solo perché lo trovo uno stile giusto per un libro divulgativo, ma anche perché mi conferma l’impressione che l’utente Dario e i suoi modi di interagire con gli altri non siano poi diversi da quello dell’autore/persona Dario. E niente, non sarà molto, ma trovare della sincerità nel (wrestling) web per me non é una cosa così scontata.
Sul contenuto, il libro si gioca tutto sul tema della dipendenza, mostrando come questo fenomeno non sia qualcosa di relegato a quelli che noi chiamiamo “drogati”, ma un tipo di relazione con le cose del mondo che caratterizza (in forme e modalità diverse) ciascuno di noi. Mi piace l’idea di guardare alle dipendenze come ad una faccia “oscura” ed ineliminabile del desiderio umano di “riempimento” del proprio vuoto, di affidare a qualcos’altro una promessa di soddisfazione duratura che (come la Luna del “Caligola” di Camus) rimane sempre irraggiungibile.*
Al tempo stesso, il saggio indaga come questa dinamica è influenzata e amplificata dalla struttura socio-economica in cui viviamo in quanto consumatori, caratterizzata da un’infinità di merci e prodotti pensati e messi a disposizione esattamente per sfruttare e incanalare la nostra “tendenza alla dipendenza”. Un “orribile gioco”, come lo definisci, che alimenta una perenne illusione di soddisfacimento e un’assuefazione a categorie di merci pubblicizzati come promesse del nostro bisogno di felicità, indipendentemente dalla categoria a cui appartengono (cibo, beni, sesso, etc.).**
É un punto che ho trovato interessante e mi ha ricordato un mio amico (futuro psicanalista) che ha scritto una tesi su un aspetto che aveva chiamato “imperativo del godimento”, che era un lettura del rapporto tra società consumistica e alcune patologie mentali (lui si era concentrato sui disturbi alimentari, ma penso che risuonerebbe abbastanza con il tuo libro). Anche lui come te, tra l’altro, metteva in luce questa estrema libertà di soddisfacimento con i beni più disparati con il persistere di un senso di colpa negli individui, ulteriormente alimentato dalla compresenza di input contraddittori presentati come soluzioni possibili a problemi indotti da una stessa società ipertrofica.***
Sei riuscito anche a integrare bene riflessioni generali a esperienze di vita personale****, e mi é piaciuta molto quando hai parlato della terapia. Tu l’hai paragonata ad un armadio da cui togliere i vestiti a uno a uno per poi provare a rimetterli dentro riorganizzandoli, e mi sembra un bel paragone*****. Soprattutto per quello che (almeno personalmente) penso sia la più grande paura nell’affrontare quel percorso: la vista dell’armadio quando è vuoto, e il pensiero che non siamo altro che i vestiti con cui abbiamo provato a riempirlo.
E credo che questo centri con quello che dici sui “drogati” e le dipendenze perché posso capire che una persona arrivi a pensare di non essere nulla senza la propria dipendenza. Che é una cosa che risuona anche in me, perché, per quanto possa sembrare assurdo, mi capita spesso di pensare che la mia depressione sia “parte della mia identità”, che senza di essa io non sarei più me stesso. E forse questo vuole dire che c’è una parte di me che é dipendente da quel disagio, che é assuefatta a stare in un certo modo ed è questo che rende così difficile liberarsene.
Ma penso sia un discorso che possa risuonare, in modi e forme diverse, con ciascuno di noi.
Vabbè, usciti un attimo da queste divagazioni personali, mi permetto giusto due critiche.
La prima é che mi sarebbe piaciuto avere un capitolo dedicato ai meccanismi cerebrali/biologici delle dipendenze, che penso avrebbero arricchito il saggio. Ma capisco che sia una cosa dovuta più allo spirito di “scienziologo” che é in me, probabilmente questa cosa sarebbe stata più difficile da integrare con il resto del libro e forse sarebbe risultato un pochino meno divulgativo e personale.
La seconda è che avrei voluto un approfondimento sul tema delle dipendenze rispetto alle relazioni. Ho trovato doverosa la parte sul sesso e la pornografia, ma penso che potrebbe esserci qualcosa da dire anche sulle dipendenze (e co-dipendenze) affettive, soprattutto in un tempo come il nostro dove le notizie di relazioni tossiche che finiscono in tragedia si sprecano.
Al netto di queste note da cagacazzo, l’ho trovato un bel libricino e ti ringrazio di avermelo mandato, non solo perché mi hai riempito il vuoto di una mattina rovinata dai treni, ma perché sei riuscito a farmi riflettere su una serie di temi che ritengo importanti.
In sintesi per Catarro (e chiunque altro qua dentro): sí, direi che merita una lettura (é pure breve).