PuroIndyLove ha scritto: ↑15/12/2019, 14:32
Von Trier, come leggerai più su, te lo consiglio caldamente.
Sì, molto interessante anche se l'ho visto più di un anno fa e avrei bisogno di una seconda visione per capire meglio il finale che inizialmente avevo trovato un po' troppo autocelebrativo; rimane comunque un film spassosissimo e profondo, Lars si conferma un grande
PuroIndyLove ha scritto: ↑15/12/2019, 14:32
Il film di Jarmusch mi ha un pò deluso e annoiato.
Non escludo che il film sia volutamente blando, a me ha divertito e l'ho trovato una riflessione molto arguta sul cinema di oggi
PuroIndyLove ha scritto: ↑15/12/2019, 14:32
Soderbergh pure mi ha detto ben poco.
La mia vera delusione dell'anno, mi aspettavo una bomba alla The Big Short e invece è un'ora e mezzo di showoff di un Oldman insopportabile e di un Banderas troppo macchietta, anche la Streep è un po' troppo frignona anche se l'ho apprezzata nel monologo finale (unica parte degna del film anche se ben poco incisiva)
PuroIndyLove ha scritto: ↑15/12/2019, 14:32
Di The Irishman se ne può parlare, perché secondo me questo, dopo Gangs of New York, è il miglior Scorsese del 2000.
Per niente d'accordo, considerando che ha fatto The Departed e The Wolf of Wall Street in questo ventennio. Oltretutto Gangs of New York è per me uno Scorsese "monco", nel senso che pesano i vociferati tagli in sede di montaggio che hanno portato il film da durare 200 minuti a quasi tre ore (comunque lunghissime), e le mancate "pause" tolgono al film un respiro più ampio che avrebbe potuto renderlo molto più memorabile (anche il solito rapporto cristologico è un po' buttato lì e non è omogeneo come in Mean Streets, ad esempio).
Di Irishman ne abbiamo parlato qualche pagina fa, io ribadisco che come per l'ultimo Gilliam non riesco a scindere l'opera da tutto il processo produttivo che le sta dietro pertanto non posso non ritenerla altro che un capriccio autoriale. Sicuramente ha i suoi punti di forza ma risulta molto più lento e meno digeribile rispetto ad altri suoi film sulle tre ore (Casino e TWOWS) e boh tutta la roba in CGI non mi ha convinto, sostanzialmente è una greatest hits che non ho trovato così necessaria a differenza di come l'ha incensato la critica (soprattutto statunitense).
Seguendo il Garbini per la top, ho ancora dei grossi dubbi per quanto riguarda il primo posto tra due film che ritengo superiori alle altre uscite in sala quest'anno: Burning e Napszallta. Siccome ho appena scaricato il torrent per rivedere il secondo a distanza di più di un anno (lo vidi in Ungheria appena uscì), provo a fare due parole sul perché questo coreano sia così in alto.
Lee Chang Dong è relativamente poco conosciuto in Italia ma vanta una carriera illustre: è stato ministro della cultura per due anni in seguito al successo di Oasis (una delle storie sui disabili e i reietti della società più onesta e struggente che mi sia mai capitato di vedere, ha un finale semplicemente perfetto), in seguito ad alcune polemiche sulla scarsa libertà creativa concessa agli autori l'hanno inserito nella blacklist del governo di destra per una decina d'anni ed ha deciso di girare Burning ad 8 anni di distanza dall'ultima volta (il buonissimo Poetry).
Non sorprende, pertanto, che il cinema di Lee Chang Dong si sia sempre contraddistinto per approfondire tematiche più "di sinistra" quale la condizione dei lavoratori, delle donne e in genere degli ultimi, classi da sempre ostracizzate ed oggettivizzate nella Corea conservatrice e maschilista da lui perfettamente rappresentata fin dagli esordi.
Questa disparità di classe e di genere è il principale dualismo su cui verte Burning, tratto da una gradevole short story di Murakami e suo primo film a carattere thriller/mystery drama dopo un'intera carriera di opere più associabili al melodramma.
I tre personaggi principali raffigurano le discrepanze e l'incompatibilità tra tre diverse classi, e se per i due maschi (il protagonista che rappresenta il classico lavoratore blue-collar umile, sfigato e rancoroso già presente in altri suoi lavori, e Ben che è il giovane ricco misterioso alla Gasby "come tanti in Corea") l'identificazione risulta abbastanza spontanea anche per l'epilogo necessario, lo stesso non si può dire della ragazza che risulta la figura più interessante della vicenda: sebbene possa sembrare solamente il pretesto per l'inevitabile scontro di classe, ad una seconda visione ci si accorge che c'è molto di più. Giovane donna nella Corea di Lee Chang Dong che ben poco ha da offrire a ragazze come lei sia dall'altro (Ben) che dal basso (Jiangsu), non trova una collocazione in questo micro/macrocosmo e vorrebbe semplicemente sparire: è quello che accadrà alla fine, ma non prima del piano sequenza mozzafiato in cui balla, nuda e con le lacrime agli occhi, un pezzo di Miles Davis al tramonto, evento che porterà all'incomprensione con Jiangsu.
Occorre inoltre menzionare il dualismo realtà/finzione che emerge fin dalla terza scena del film quando la ragazza fa la pantomima, perché il film gioca tantissimo con lo spettatore seminando indizi (gatto, pozzo, orologio) a metà tra verità e menzogna, lasciando tutto in sospeso fino al finale catartico come nelle opere precedenti.
Burning è per me, in sostanza, un film straordinario in quanto opera più complessa e stratificata di un regista enorme ed influente come pochi in Oriente, una metafora pazzesca sulle differenze di classe e di genere ancora imperanti in Corea (probabilmente in tutto il mondo), ed è un vero peccato che non abbia avuto la considerazione che meritava quando un altro film coreano dalla tematica simile ma sicuramente più facilone ha avuto un successo enorme non solo in Italia ma in tutto l'occidente.