Davvero splendido Le Otto Montagne, sarà anche che ho un fetish per i film così contemplativi e che annullano i punti di vista in favore dello scorrere placido ed ingiudicabile delle immagini, in linea con la natura
con cui si confrontano i personaggi. Non mi viene nemmeno da parlarne perché le contraddizioni, le differenze, le unioni e in generale la complessità dei personaggi e di quello che accade loro è talmente banalmente umana che sarebbe decisamente ridondante commentarla, per un film che parla proprio del distacco dall'interpretazione della propria vita in virtù della resistenza allo scorrere degli eventi (che detta così sembra una passività vittimista alla Joker, ma la differenza sta proprio nella scelta del silenzio consapevole e resiliente rispetto all'urlare senza direzione le proprie paturnie: "con le parole le cose non si aggiustano").
Unica pecca le canzoni sotto che non c'entravano una sega con l'atmosfera nè coi personaggi, avrei preferito una scelta più radicale nell'eliminare del tutto la musica o se proprio inserire dell'ambient, ma vabbe'.
C'è da dire che dopo aver recuperato
Il lamento sul sentiero di Ray, tutte le narrazioni slice of life mi sembrano delle copie sbiadite, se apprezzate questo genere di racconto sparatevi in vena almeno quello e suppongo il resto della Trilogia di Apu perché è davvero abbacinante come Ray con sketch di pochi minuti evolva i tanti personaggi del film ed il loro ristretto ambiente domestico fino a mutarli completamente senza che nemmeno ce ne si accorga (e senza spiegoni in voice over
)
Segue wallpost per recuperare alcune questioni:
Jouissance ha scritto: ↑30/10/2022, 14:54
Non concordo granchè, in realtà. E i motivi per cui certe critiche, per quanto mi riguarda, non reggono sono anche ben esplicitati proprio nel post su The Square. La preferenza per l'esplicito e l'espressivo a discapito del contraddittorio e del conflittuale impedisce di vedere il lavoro di messa in scena di un film che certamente parte come modalità di rappresentazione da Buñuel e Ferreri ma giunge, come nei film precedenti, ad Haneke e Godard, cioè a una disgiunzione anti-marxiana dell'esistenziale dall'economico. Vedasi la variazione apportata al tributo a Parasite (quello sì una satira sul classismo). O la sublime scena di Buric con la moglie sull'isola (già tra le più memorabili di questo secolo), l'estrazione dell'economico si poggia sull'abisso esistenziale, non ne è la causa. Il senso si genera dalla contraddizione della disgiunzione, non dall'unità di una co-appartenenza.
Così come The Square non era una satira sull'arte contemporanea, ma una satira sull'uomo caduto in uno campo privilegiato di senso quale l'arte contemporanea, così Triangle of Sadness è una satira sull'uomo caduto nel campo privilegiato della moda, della performance, della sfera pubblica iper-mediatizzata, dell'ostentamento della ricchezza. Per questo motivo il "rivolgimento padronale" nell'isola non relativizza una lotta esistente. Piuttosto è il marxismo che dialettizzando la questione del privilegio in un'eterna lotta si vuole immunizzare. Ma il privilegio è dell'uomo, non del ricco. Così piuttosto che una rivolta del soggetto contro una classe privilegiata, abbiamo una rivolta (in questo caso, una fuga) del soggetto contro un campo linguistico privilegiato. Allo stesso modo l'incomunicabilità non è dell'uomo, ma del campo linguistico privilegiato, si configura come un dispositivo d'immunizzazione. La vera posta in gioco è l'universale e l'uguaglianza.
Non concordo neanche con il disprezzo verso i propri personaggi: a Carl sono affidati i momenti più liberatori (la scena dell'ascensore e la corsa), Yaya ha il momento di redenzione (che star pazzesca Charlbi Dean, quantomeno la sua immagine rimarrà impressa nella storia del cinema), Harrelson e Buric sono degli amorevoli idioti.
Cinema altissimo di uno degli indiscutibili GOAT del cinema contemporaneo.
Anche in questa prospettiva, non vedo come Ostlund faccia qualcosa di originale rispetto a Luci della Città, con la figura del miliardario che si umanizza e ridicolizza completamente quand'è ubriaco, o Una Poltrona per Due, che verte interamente sul gioco di ruolo e di maniera dello status sociale e lo declina molto più profondamente di Triangle of Sadness. Ruben attua una simpatica variazione con la sua regia statica ed aggiorna le questioni al presente con i social, le campagne umanitarie pretestuose e tutto, il che lo rende comunque un film discreto che fa la sua parte, ma sostanzialmente mi pare molto qualcosa di già visto.
Jouissance ha scritto: ↑18/11/2022, 1:05
La bruttezza di Bardo è qualcosa di difficilmente immaginabile. Quando il gesto dell'autore, più che disvelare attraverso uno sguardo singolare archetipi dell'inconscio, coincidendo con lo stesso sguardo nega qualsiasi verità dell'immagine al di là dello sfoggio del gesto stesso. Così non importa l'argomento, si può passare dalla satira politica sull'immigrazione e sull'informazione al dramma sublimatorio su lutto e mortalità, da traumi storici a traumi privati, tutto deve essere sovrastato dal gesto. 160 minuti di film di cui 0 di cinema. La scena della spiaggia, Dio mio. Uno dei più epocali tonfi d'autore.
Ti bersaglio perché mi stimoli
Sinceramente lo trovo un film medio, interessante nelle soluzioni visive, mediocre nel trattamento della tematica esistenziale abusato a più non posso. Alla fine tutto il contorno sociale è un pretesto per riparlare sempre della crisi del protagonista, così come lo era il mondo del cinema in 8½, senza ovviamente l'approfondimento di Fellini (che infatti si prende tutto 8½ per parlare della crisi creativa e del conflitto con l'ambiente, tutto Amarcord per parlare del rapporto col passato, tutto Roma per parlare del rapporto col presente, tutto Il Casanova per parlare della crisi esistenziale, laddove Inarritu* pretende di condensare tutto in poco meno di tre ore e chiaramente risulta vago e inconsistente). Capisco l'incazzatura ideologica verso un'operazione così pretestuosa, ma il film in sé e per sé non l'ho trovato malvagio.
*troppa sbatta inserire i caratteri speciali come la tilde spagnola
KanyeWest ha scritto: ↑30/12/2022, 14:52
Onestamente no, non mi piace molto Del Toro e dubito che possa piacermi di più di quello di Garrone. Se capita l'occasione gli darò un'occhiata, ma ad essere sincero sto dando priorità ad altro
Se non ti piace la poetica di Del Toro (che io adoro abbastanza) ha effettivamente poco senso recuperarlo, se non per l'innovazione devastante che porta nella tecnica Stop Motion e per vedere un po' di satira carina sul fascismo, che fa sempre bene alla prostata. Del resto ci sono le sue solite riflessioni sul rapporto con la morte, il lutto, l'accettazione e 'ste cose qua, che a me colpiscono molto, ma non sono tanto diverse dai suoi film precedenti.
KanyeWest ha scritto: ↑29/12/2022, 0:57
non avere una produzione urlata o che si vende agli americani, ai ricchioni o a tutte e due le cose (ciao Guadagnino).
Ne approfitto per chiedere a chi l'ha visto cosa ne pensi, anche se leggendo tra le righe credo di aver intuito la tua opinione
Io sono una groupie di Guadagnino quindi conto il giusto, ma mi ero segnato alcuni appunti che mi avevano colpito e che riporto cercando di renderli leggibili:
- l'amore tra i due è freddo a sottolineare la loro condizione sociopatica: nonostante siano tecnicamente in grado di scopare, preferiscono esprimere la loro relazione nel reiterarsi psicopatico della loro diversità e quindi rinsaldare la loro unione attraverso l'autoconvinzione che non ci siano alternative; tant'è che quando ammazzano l'ammogliato, il banale maudit Chalamet cerca delle facili scuse su come non conoscessero la sua condizione famigliare, mentre Russell gli dice eloquentemente "noi uccidiamo delle persone", sottolineando che le altre vittime apparentemente sole avevano amici, parenti allo stesso modo. La loro sessualità inespressa mi è sembrata quindi funzionale a portare avanti il discorso sulla malattia (che non credo affatto sia autocompiaciuto e si riduca ad una mera esclusione sociale, dal momento che questi sono letteralmente dipendenti dall'ammazzare la gente e si accorgono di meritarsi l'esclusione sociale), oltre che al finale. Quando decidono di essere normali, si guardano con tenerezza, si baciano dando le spalle alla macchina (scelta importante in un film che mostra tutto sempre e comunque, e che inquadra i baci come impacciati, baci che rimandano all'idea di mangiarsi ma questa è un'ovvietà), si scambiano la sigaretta, tutte cose molto carine da coppietta romantica carina. La stessa inquadratura finale, che fantastica su un amore pudico e nudo come loro non hanno potuto avere (dopo la conferma della onnipresente natura cannibale con l'eccessiva mattanza di Sully), è eloquente. La sessualità repressa come stimolo e autoconvinzione della malattia sociale, in una prospettiva di superamento della stessa (il desiderio di sopravvivere la normalità attraverso l'amore va in direzione totalmente opposta rispetto alla pulsione maledetta tipica di queste storie);
- é interessante come i crimini che compiono per soddisfare la loro dipendenza sono del tutto necessari dal fatto che se si denunciassero finirebbero come la madre di lei, e quindi non possono contare su una cura efficace che punti ad integrarli, ma solo su terapie disumanizzanti che li annichilirebbero. La loro sociopatia è alimentata dall'incapacità dello stato di legiferare su di loro in maniera adeguata (discorso estendibile all'intero sistema carcerario);
- il montaggio è la componente che ho preferito: abbinato al piglio freddo e documentaristico del film (questi personaggi in questi scenari con questa storia, e a voi i giudizi), il montaggio, anche sonoro, è totalmente soggettivo, tra ellissi, sequenze di pochi frame che appaiono e scompaiono, dissolvenze alternate con nonchalance a tagli classici, mi è sembrato tutto perfettamente bilanciato alla regia impressionista, che riporta al piglio da documentario emotivo che dicevo prima: il film ha talmente tanti registri, uno adatto per ogni scena, che finisce per essere del tutto impersonale, cioè adegua di volta in volta la regia, il sonoro, la fotografia ed il montaggio al sentimento della scena rappresentata, così da non veicolare nessuna sensibilità in particolare (reiterandone però alcune inesorabilmente), ma rendendo il resoconto di tutte quelle presenti nelle porzioni di storia raccontate. Per me questo è un grande pregio;
- infine, ho trovato il più grande merito del film nella maniera in cui fonde i linguaggi di genere (frase abusata but let me explain): è vero che i personaggi sono stereotipi, è vero che i dialoghi potrebbero provenire da qualunque fiction rai, è vero che è una storia abusata già solo dallo stesso Guadagnino. Ma per me tutte queste banalità funzionano meravigliosamente proprio in virtù delle sequenze più volgari che dovrebbero rendere totalmente alienanti quelle scene, e che invece funzionano (IMHO grande come una casa in questo caso) proprio grazie alla capacità di Guadagnino di gestire tutti i linguaggi che gli servono. I personaggi hanno bisogno di parlare come i protagonisti di un teen drama medio perché sono esattamente il loro riflesso, di normie con tendenze normie che si comportano da normie, e pure dei ragazzini così mediocri sono in grado di rappresentare un pericolo e di impressionare con sequenze splatter di vero e proprio trash estetico.
Un altro espediente con cui si gioca con la condizione di personaggi dei suoi protagonisti é lo stacco fuori casa durante il massacro finale, in cui gli effetti horror extradiegetici si interrompono e poi tornano come fossero diegetici, evidentemente presenti nella testa dei protagonisti: o anche la differenza di caratterizzazione tra Sully e la madre: il primo si è lasciato andare completamente alla propria condizione patologica ed è una macchietta narrativamente, un pedofilo da caratterista senza nessuno scampo narrativo, mentre la madre, che ha rifiutato in toto la propria condizione, recita come tre personaggi differenti nel giro di pochi minuti, cioé prima come matta, poi come madre affettuosa, poi come zombie in cerca di carne. Rifiutando di affrontare la propria condizione non ha trovato una soluzione narrativa ed è costretta ad alternarsi tra i vari ruoli che il film le richiede. I due protagonisti cercano appunto la via di mezzo, cioé accettare la propria condizione e controllarla nel sociale, né abbandonandocisi, né rifiutando di farci i conti. Paradossalmente il film è un elogio della normalità, una normalità che sia consapevole però, al di là della schizofrenia della condizione naturale patologica (sublimata nella madre) e al di là degli autocompiacimenti stereotipici (sublimati in Sully), una presa di coscienza della malattia che passa per un montaggio travagliatissimo che cerca di tenere insieme tutte le tensioni del film.
La chiosa finale è tragica, cioé il ritorno finale alla propria natura nel privato per annichilirsi a vicenda, preferendo così che vederla ceduta al e giudicata dal mondo esterno, col vaneggiamento di una normalità poetica che non potrà esistere, e forse può essere pure un passo indietro, non saprei, ma ormai abbiam capito che la poetica di Guadagnino questa è.
É vero peró che in certe parti la sensazione de
"la malattia é la vita e 'sticazzi" é prepotente