Il passaggio della cancellazione

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THEREALUNDERTAKER
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Il passaggio della cancellazione

Messaggio da THEREALUNDERTAKER »

Vedo un pezzo di pane cadere giù da una mano. La mano che lo reggeva era pallida, smorta, secca; si delineano, su quel lembo di pelle, le ossa; palesemente quella persona non possedeva la forza di stringere a sè qualcosa; quel tesoro è caduto giù senza fare particolare rumore, ma nonostante questo, i corvi ci si sono avventati come se avessero sentito l'acqua di una cascata cadere addosso ad una casa fatta di metallo, ed altrettanto velocemente, dopo non averne lasciato neanche una briciola, sono volati via.
Nebbia intorno, con i fiochi raggi che accarezzano le onde di brina su quel poco di erba presente. Nebbia che non ti nasconde quello che puoi vedere, ma te lo rende sfumato, tetro, agghiacciante.
Le betulle, e qui ce ne sono tante, si stagliano alte con i rami che accarezzano il vento; i rami sono senza foglie: è inverno. Assomigliano, neanche tanto metaforicamente, a quella mano secca piena di ossa che ha fatto cadere il pane.

Lungo la stradina che porta al cancello, fango e pietre; quelle aguzze, pungenti, che tagliano le suole e ti arrivano alla pianta dei piedi. Il pietriccio era colorato da schizzi di sangue: un sangue scuro, rappreso, quasi inesistente ormai. I miei piedi non provano particolare dolore; è tutto cosi' intorpidito; il corpo, l'animo, l'aria stessa che si respirava. Le persone vicine al cancello, stipate e strette dai soldati e dai boss del campo, hanno gli occhi grigi, inespressivi, praticamente privi di vita. Dalle torrette di guardia vicino al cancello, un soldato, senza neanche tanto urlare, ha chiesto di andare veloci con la musica. La mano dell'improvvisato direttore d'orchestra alla sua sinistra fendeva l'aria con un ramo, fungendo da improvvisato segnaritmo, dando ordini al tamburo di incedere armonioso con la tromba e l'organetto.

Il lumino della torretta aveva attaccato a sè una targa contrassegnata da numero: il 4. Il soldato al suo interno mi squadra; non batte ciglio: un'occhiata di sfuggita, poi dice qualcosa in un biascicato polacco ad un altra persona, distrattamente li con lui, senz'armi, ma con una frusta. Non si rivolge a me, se non con lo sguardo: mi fa capire di seguirlo. Eseguo senza contraddizione.

La camerata aveva anch'essa un numero attaccato alla men peggio sulla porta d'ingresso: il numero 10. Entrando, una finestra coglie la mia attenzione: è aperta con un sottile spiraglio; le finestre sono particolari: un vetro di colore viola, l'altro giallo: dà l'impressione che fuori ci sia più vivacità in questo modo, sembra quasi dare agli abitanti della stanza un tono di festa solenne; a me dava l'idea di medicina disumana.

La persona che sto seguendo non si è ancora girata verso di me da quando abbiamo iniziato a camminare insieme. Avessi tergiversato un solo passo, sarei diventato facilmente come quel pezzo di pane caduto: cibo per i corvi. Arriviamo ad una porta, senza maniglia: è stata palesemente tolta. Entriamo in una stanza dove l'aria taglia le narici in un respiro freddo. Il pavimento grigiastro è pieno di buchi e venature strappate di marmo. Le fughe che separano le piastrelle sembrano corsi di fiume in rapide; disconnesse tra loro da pezzi mancanti, schegge taglienti e pezzi ancora da pavimentare. Un altro soldato è li: Mi intima di spogliarmi: Eseguo senza dire una parola: mi dice di sedermi. Mi avvicina un timbro al braccio sinistro: punge, molto, ma non urlo. Non mi conviene.
Ho anche io il mio numero. Fa male.
Ecco che la mia guida si gira: ha in mano vestiti a righe. Mi intima velocemente di togliere le scarpe, indossare il tutto e seguirlo. Eseguo senza dire una parola; mi vesto. Mi indica di seguirlo vicino ad un muro e pormici di faccia: Mi scattano una foto, poi una seconda, poi una terza; quest'ultime, di lato: una per ogni profilo.

In neanche due minuti mi ritrovo di nuovo fuori la camerata; ora il terreno fangoso si è mischiato maggiormente alla brina sciolta, creando una poltiglia simile ad una palude: finalmente un po' di refrigerio ai piedi, ma non si riesce a camminare. Devo mettermi velocemente in fila: c'è la conta. Io sono arrivato oggi, mi spetta il posto davanti alla torretta.



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