I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

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c'hoçtreß
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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da c'hoçtreß »

Gran topic, davvero, ma recuperarlo tutto sarà tosta, credo lo farò a spizzichi e bocconi.
Domanda a bruciapelo per l'autore: hai mai letto Massa e potere di Canetti? E se sì cosa ne pensi?



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Inklings
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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

c'hoçtreß ha scritto: 30/05/2023, 11:42 Gran topic, davvero, ma recuperarlo tutto sarà tosta, credo lo farò a spizzichi e bocconi.
Grazie, se vuoi nel primo post ho aggiunto un indice in modo che chi vuole si può leggere giusto i temi di suo interesse, così da non dovere spulciare in mezzo ai vari wallpost.

Sulla domanda temo di doverti deludere, il nome non mi è del tutto nuovo ma non l’ho mai approcciato.
In generale sono abbastanza/molto ignorante su tematiche sociologiche (per motivi diversi ho studiato Mead e letto Debord, ma pochissimo d’altro) e politiche, è un mio grosso limite.

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c'hoçtreß
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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da c'hoçtreß »

Inklings ha scritto: 30/05/2023, 12:43 Grazie, se vuoi nel primo post ho aggiunto un indice in modo che chi vuole si può leggere giusto i temi di suo interesse, così da non dovere spulciare in mezzo ai vari wallpost.

Sulla domanda temo di doverti deludere, il nome non mi è del tutto nuovo ma non l’ho mai approcciato.
In generale sono abbastanza/molto ignorante su tematiche sociologiche (per motivi diversi ho studiato Mead e letto Debord, ma pochissimo d’altro) e politiche, è un mio grosso limite.
Non é mica un limite, se dovessi elencare le mie di mancanze addio...
Mi sono permesso di citarlo e nel caso consigliarlo proprio perché una lettura superficiale del topic e di quelli che mi sembrano i tuoi interessi l'ho data.
Ad esempio c'è un corposo capitolo sul caso Shreber che da ciò che ho intuito potrebbe fare al caso tuo.

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

c'hoçtreß ha scritto: 30/05/2023, 12:52 Non é mica un limite, se dovessi elencare le mie di mancanze addio...
Sì, diciamo che sono io che lo vivo un po’ come tale perché mi piacerebbe leggerne/studiarne di più per capire alcune dinamiche socio-politiche odierne, mi farebbe comodo :ooops:

Comunque, me lo segno, grazie.
I consigli di lettura son sempre graditi :pollicealto:

(P. S. Nel caso volessi usare questo topic per presentare/consigliare qualcosa fai pure eh, mi farebbe piacere. Invito rivolto a tutti, ovviamente, è un topic libero per chiunque)

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da c'hoçtreß »

Inklings ha scritto: 30/05/2023, 13:01 Sì, diciamo che sono io che lo vivo un po’ come tale perché mi piacerebbe leggerne/studiarne di più per capire alcune dinamiche socio-politiche odierne, mi farebbe comodo :ooops:

Comunque, me lo segno, grazie.
I consigli di lettura son sempre graditi :pollicealto:

(P. S. Nel caso volessi usare questo topic per presentare/consigliare qualcosa fai pure eh, mi farebbe piacere. Invito rivolto a tutti, ovviamente, è un topic libero per chiunque)
Invito gradito, anche se sono una ciofeca sia a recensire che a riassumere, aspetti nei quali tu invece sembri metterci passione.
Ti avverto però che è una lettura molto altalenante sia per le tematiche che per lo stile. D'altronde lui ci ha messo una vita a scriverlo, ed io più di un mese a leggerlo. Ha una sua logica ma c'è di tutto dentro, dall'antropologia al simbolismo. Il capitolo sul caso Schreber poi è una roba a parte, tra riferimenti storici e scientifici, che poi in fondo è un eclatante caso psichiatrico di una figura storica utilizzato per rafforzare la sua logica.

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

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23/52

Questo lo dedico al compagno CZW.

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Merlin Sheldrake è un biologo e scrittore britannico, noto per la sua ricerca sul mondo dei funghi e la sua promozione della comprensione del loro ruolo fondamentale nell'ecologia e nella vita sulla Terra. Figlio del noto autore Rupert Sheldrake, che lo ha iniziato alla curiosità scientifica e allo studio della biologia (come riconosce lui stesso nell'ultimo, biografico, capitolo del libro), si segnala anche per una personalità abbastanza eccentrica ed esuberante, dedicandosi anche alla musica insieme al fratello Cosmo
Spoiler:
, prendendo parte a esperimenti con LSD e psilocibina e pubblicando questo video in cui cucina e mangia dei funghi a cui ha lasciato divorare una copia del suo libro:
Spoiler:
Una gran bella campagna pubblicitaria :moltosorpreso:

Il testo in questione ha un titolo più evocativo in originale, Entagled Life, che si riferisce alla caratteristiche fondamentale del mondo dei funghi: il fatto di intrecciarsi e diffondersi in tutto il mondo dei viventi, sviluppando relazioni complesse che influenzano l'ecologia di tutta la biosfera. Cos'è un fungo? La domanda è più complessa di quello che sembra, perché la varietà presente in questo regno è veramente vastissima: dalle muffe e i lieviti ai più noti corpi fruttiferi che ci piace gustare tagliati e cotti nei risotti, per passare poi a casi particolari come le micorrize (funghi uniti in simbiosi alle radici delle piante). In una parola, potremmo dire che i funghi sono i decompositori della natura. Non sono in grado di produrre autonomamente il proprio nutrimento, come le piante, ma decompongono il proprio cibo attraverso specifici enzimi, per poi assorbire le molecole derivanti da questo processi.

L'aspetto che più colpisce di questi organismi è la loro totale diversità rispetto ai piani corporei degli animali e la loro diversificazione evolutiva. Infatti, la loro struttura di base è costituita da microscopici filamenti dette ife, che si estendono nello spazio in moltissime forme reticolari chiamate miceli, che possono poi raggrupparsi nei più noti corpi fruttiferi (da cui poi si diffonderanno le spore; tangenzialmente, la questione della sessualità e riproduzione dei funghi è un campo davvero fluidissimo, a quanto pare con singoli organismi che possono anche variare "alla bisogna"). Questo aspetto fa dei funghi dei veri e propri "alieni" rispetto ai nostri processi cognitivi e comportamento, anche solo per il fatto banale che non sembra esserci un'organizzazione centralizzata in tali organismi, come avviene invece per gli animali dotati di cervello (vedasi saggio sui polpi di qualche pagina fa su questo problema).

Similarmente alle piante (con cui spesso vengono confusi), il loro regno è rimasto ai margini degli studi biologici e considerato incapace di comportamenti complessi (uniteci il fatto che la maggior parte dello sviluppo dei funghi avviene sottoterra, quindi è difficile da studiare). Niente di più errato, in quanto queste forme di vita mostrano una varietà di strategie evolutive straordinarie, affrontando problemi incredibilmente difficili sfruttando la flessibilità delle proprie dotazioni corporee e chimiche. Troviamo così i tartufi che sviluppano marcatori olfattivi potenti e attraenti per farsi trovare e diffondere dagli animali; funghi parassiti che arrivano a modificare la chimica nervosa degli ospiti parassitati*; varie forme di simbiosi (micorrize, lichene**); funghi che sviluppano capacità di assorbimento di forme di energia particolarissime (come i funghi che hanno "imparato" ad assorbire le radiazioni in prossimità del reattore di Chernobyl); e soprattutto, l'associazione stabile con il mondo delle piante.

Quest'ultimo punto è particolarmente interessante, in quanto oggi si è scoperto che la quasi totalità delle piante della terra stabilisce dei rapporti di dipendenza (più o meno) reciproca con delle specie di funghi, spesso stanziati nelle loro radici. Questo risulta fondamentale perché senza l'attività delle loro ife, le piante non sarebbero in grado di ricavare minerali fondamentali per la loro sopravvivenza dal suolo***; da parte loro, i funghi cedono tali risorse in cambio degli zuccheri prodotti attraverso la fotosintesi. In questo processo, però, i funghi giocano anche un ruolo fondamentale rimasto per molto tempo nascosto. Attraverso la ramificazione del proprio micelio, infatti, uno o più funghi si legano a moltissime piante diverse, generando una rete biologica in cui vengono trasmesse informazioni (probabilmente per via elettrica e chimica) e sostanze nutritive tra piante e funghi anche a distanze notevoli. In questo Wood Wide Web, come viene definito, i funghi non giocano solo un ruolo di ricevitori e diffusori, ma anche di mediatori del "valore economico" delle risorse sulla base dei bisogni immediati e delle condizioni climatiche e del suolo (alcuni studi hanno osservato che lo scambio tra sostanze può variare sensibilmente sulla base della disponibilità di risorse, della loro rarità o delle minacce/criticità interne alla rete).***

"Che cosa si prova ad essere un fungo"? Una domanda che pare provenire dai peggiori trip di LSD*****, ma dopo aver letto questo libro forse qualcuno potrebbe trovare a pensarci su. Il fungo - più ancora del vegetale secondo l'autore - è l'immagine dell'alieno e del totalmente altro, del bizzarro e dell'eterocentrato: un'occasione per uscire al di fuori del proprio, abituale punto di vista e cercare di immergersi nel mondo naturale intorno a noi (e in particolare sotto i nostri piedi). La scrittura di Sheldrake è molto arguta e divertente, non rinuncia al taglio scientifico e al continuo riferimento alla bibliografia scientifica (spesso molto recente), ma è in grado di integrarla perfettamente con la curiosità e l'entusiasmo dell'appassionato. Un saggio scientifico sui funghi si trasforma così anche in una riflessione sul loro rapporto con le nostre pratiche culturali, sul loro influsso in medicina, cucina, arte, letteratura e tempo libero. Merlin ci invita a cambiare radicalmente la prospettiva sul mondo vivente, facendoci scoprire la natura come un rapporto di dipendenze reciproche che hanno nel mondo dei funghi uno snodo fondamentale, e atipico per i nostri modi di pensare.
Dategli una chance e vi sorprenderà.


NOTE PER GLI AVVENTUROSI:
Spoiler:
*Dawkins ne sarebbe fiero: è sicuramente un caso eclatante di fenotipo esteso. Per inciso, forse questa capacità di modificazione neurochimica è anche all'origine dell'evoluzione delle loro caratteristiche allucinogene, anche se, come nota l'autore, siamo probabilmente di fronte a una cooptazione funzionale di alcune molecole già presenti per altri scopi più che ad un adattamento lineare.
**Tra l'altro, la parola simbiosi ha origine proprio dall'osservazione e studio dei licheni, ossia di forme di vita derivanti da un'associazione stabile tra un'alga e un fungo.
***E' probabile che l'associazione con i funghi sia stato un elemento fondamentale già per la colonizzazioni delle terre emerse da parte delle piante.
****Come avviene sempre nell'evoluzione, non mancano gli approfittatori. Un caso incredibile è costituito da alcune specie di piante parassitarie esotiche che hanno perso la capacità di utilizzare la fotosintesi (!), come Monotropa uniflora, definita come una pianta mico-eterotrofa. Come riescono a sostentarsi? Semplice, sono attaccate al Wood Wide Web e ricavano le sostanze di cui hanno bisogno da lì, sfruttando la produzione degli altri.
*****Anche perché a Sheldrake viene in mente proprio durante un trial clinico di quella sostanza, cui si è offerto ovviamente come volontario :ammiccante:

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

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24/52

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Il saggio di oggi è un classico della psicologia realizzato dall'ungherese Mihály Csíkszentmihályi (!). Quest'ultimo ha dedicato la sua carriera allo studio quel tipo particolare di esperienze che ha definito come Flow (Flusso)*, o "esperienza ottimale". In questo saggio vengono sintetizzati gli studi che hanno portato allo sviluppo del concetto, alla sua applicazione in vari campi dell'agire umano - sport, lavoro, quotidianità - e alla sua relazione con il benessere e sviluppo psicologico degli individui. La metodologia utilizzata per questi studi è il cosiddetto Experience Sampling Method (ESM): si campionano una serie di individui disparati che vengono forniti di un cercapersone che suona tutti i giorni per un certo periodo ad intervalli casuali e di strumenti per descrivere la propria esperienza al momento del suono, unito poi a svariati sondaggi e lunghe interviste per comprendere lo stile di vita degli individui presi in esami. A seguito di anni di raccolta dati di carattere sia locale (e differenziato per atleti, monaci, etnie, etc.) sia transculturale, M. C. e i suoi collaboratori scoprirono delle caratteristiche comuni relativi alle esperienze ottimali e al benessere psicologico.

Secondo M. C., il benessere psicologico si caratterizza come un particolare tipo di esperienza in cui il soggetto si trova in una posizione di controllo della situazione vissuta, vive quest'ultima come fine ed è focalizzato in essa al punto di mettere "in parentesi" le informazioni e il rumore derivanti dal resto dei processi circostanti. Mentre in condizioni normali un individuo è soggetto a un disordine di pensieri, sensazioni e disturbi, o entropia psichica, le esperienze di flow mettono ordine nella coscienza e indirizzano le sue intenzioni e i suoi sforzi in un'unità ordinata e integrata. Questo ordine particolare costituisce, secondo M. C., il motivo per cui queste esperienze sono vissute come intrinsecamente piacevoli, o "autoteliche": nel momento in cui siamo al loro interno, queste assumono su di sé lo scopo della nostra azione e della nostra vita. Siamo in uno stato di equilibrio a metà tra l'ansia e la noia, in una concentrazione tesa al superamento di una sfida presente unita a una fiducia totale nelle nostre capacità e dei nostri mezzi. Mentre esistono delle circostanze e contesti specifichi che facilitano l'immersione nel flow e nella maggior parte dei casi queste situazione sono poste "dal di fuori" (per esempio, nell'attività agonistica), secondo M. C. il "segreto" per sviluppare una condizione di felicità stabile consiste proprio nello sviluppo di un sé autotelico, in grado di replicare con costanza l'esperienza ottimale al di là delle circostanze e degli ostacoli posti dalla vita (in famiglia, nel lavoro, nel tempo libero, etc.).

Il saggio alterna studi e analisi di caratteri generali relativi ad alcune caratteristiche comune relative al flow** a lunghe descrizioni di persone e casi paradigmatici, divisi in capitoli che trattano l'applicazione specifica del flow ai diversi ambiti della vita (attività corporea, pensiero, lavoro, socialità, tempo libero, creatività artistica, etc.). Alcuni aspetti risultano particolarmente interessanti perché sovvertono delle aspettative precedenti allo studio. Ad esempio, mi ha colpito abbastanza il cosiddetto "paradosso del lavoro", per il quale l'ESM mostra risultati di esperienze ottimali più elevate nei momenti di lavoro (anche quando questo non è considerato soddisfacente) piuttosto che in gran parte del tempo libero, che comunque è decisamente più desiderabile per molti degli intervistati (tra cui pure io, ovviamente). Insomma, la maggior parte delle persone campionate (ma penso valga in generale) mostra di voler lavorare meno e dedicarsi maggiormente al tempo libero, ma al tempo stesso i risultati dell'ESM mostra che le persone si sentono più stimolate, capaci e soddisfatte durante il lavoro, mentre nel tempo libero provano spesso ansia, tristezza e passività.*** Inoltre, risultati particolarmente positivi provenivano da persone legate ad ambienti rurali e contesti di vita in cui non pare non esserci una netta distinzione tra tempo libero e lavoro, così come da persone con lavori anche molto faticosi e gravosi ma totalmente integrate in tali attività (questo non sorprenderà, presumo).

Allora, sono un po' combattuto. Da una parte trovo interessante il concetto di flow e la sua analisi nei contesti di vita più disparati, specialmente in ambito sportivo e di lavoro; dall'altra, il libro tende in alcune parti ad esulare dalla dimensione descrittiva e rischia di trasformarsi in una sorta di "manuale della felicità", con consigli pratici per l'uso che in alcuni casi sembrano abbastanza superficiali (certe riflessioni sul concetto di felicità lasciano un po' il tempo che trovano) o all'estremo opposto decisamente esagerate (ogni tanto pare esserci una velata esaltazione mistica**** e le ultime righe sul flow dell'universo molto meh). Ho trovato un po' problematico anch'io (come mi aveva anticipato Aaron qualche giorno fa) il ricorso a espressioni come "personalità autotelica", mentre ho capito un po' di più il paragrafo in cui parla del "sé autotelico", inteso come una fase di sviluppo in cui l'individuo acquisisce la capacità di darsi degli scopi coerenti, immedesimarsi nei propri compiti e trovare soddisfazione nelle proprie attività mantenendo una prospettiva centrata alla propria crescita (ma non ego-centrica).

In ogni caso, mi sento comunque di consigliarlo soprattutto per la sua dimensione descrittiva, penso offra una prospettiva interessante sul tema del benessere e dello sviluppo individuale. A livello tecnico, la scrittura è molto semplice e il testo è leggibilissimo (pure "troppo" in certe parti, risultando un po' semplicistico); pecca un po' in bibliofilia (cita veramente troppa roba), ma le sue divagazioni nelle note le ho trovate abbastanza carine e penso trasudino di passione verso l'oggetto di studio, che è una cosa che apprezzo sempre molto.

NOTE PER GLI AVVENTUROSI:
Spoiler:
*Da non confondere con un altro famoso "flusso" della psicologia, ossia lo stream of consciousness sviluppato agli inizi del '900 dal filosofo americano William James (e "popolarizzato" poi nella letteratura come particolare stile di espressione dei pensieri di personaggi come quelli di Joyce o Svevo).
** In particolare, otto caratteristiche di base:
1) presenza di compiti che possono essere svolti;
2) focus sull'attività del momento;
3) obbiettivi chiari dell'attività;
4) feedback immediati;
5) impegno profondo ma privo di fatica;
6) sensazione di controllo;
7) perdita di preoccupazione per il sé (che risulta più integrato al termine dell'azione);
8) senso del tempo alterato
*** Csíkszentmihályi chiaramente ipotizza una serie di motivi per cui avvenga ciò, in cui quello principale è identificato con il fatto che anche quando siamo totalmente investiti in un'attività in cui mettiamo alla prova le nostre capacità, il fatto che questo sia "dovuto" e imposto dall'esterno ci fa (giustamente) sentire che la nostra attenzione psichica venga sprecata. Anche quando quest'ultima non viene investita particolarmente al di fuori del contesto di lavoro. In parole povere, per molte persone il lavoro può costituire un'esperienza ottimale nell'immediato, ma non viene percepita come tale nel lungo periodo perché non contribuisce agli scopi personali di lungo termine. In un altro punto del testo, questo concetto è messo in relazione al concetto di alienazione presente nei manoscritti di Marx.
**** Ringrazio Aaron Kirk per la discussione di qualche giorno fa e il reminder sul fatto che C. ha iniziato i suoi studi con l'esperienza religiosa dei monaci, che spiega un po' di più certe espressioni/tendenze del testo.

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

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25/52

Quasi al giro di boa, la prossima volta porterò un saggio di filosofia epocale, che ha avuto una grandissima influenza su di me.
Ma oggi, una lettura recentissima e inaspettata, scritto da un compatriota residente nel profondo Nord :IT:

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Dario Martinelli è un professore di semiologia e musicologia all'Università di Kaunas, in Lituania. Compositore, musicista e appassionato di cinema (oltre che attivo antispecista), ha fondato e dirige una nuova collana del noto gruppo editoriale Springer, dedicato alle neonate Numanities (o New Humanities). Nei suoi studi si è occupato prevalentemente di zoosemiotica, ossia dell'utilizzo dei segni e della comunicazione nel mondo animale. Si segnala inoltre come uno dei fondatori di una nuova, recentissima, disciplina: la zoomusicologia. Il libro che presento oggi è un'introduzione italiana divulgativa a questo ambito di studi (penso l'unica, ad oggi, in Italia).

Cosa sarebbe la zoomusicologia? La definizione succinta suona così: "Lo studio dell'uso estetico della comunicazione sonora nel mondo animale".
Una definizione abbastanza forte per almeno due motivi.

Il primo è il ricorso (cosciente e assolutamente intenzionale) al termine "estetico", che costituisce una rottura rispetto alla quasi totalità degli studi relativi al mondo animale. La zoomusicologia assume - non come petizione di principio, ma come interpretazione fondata sul raccoglimento di dati relativi alle dimensioni cognitive e alle pratiche socio-culturali degli animali studiati* - che sia ragionevole parlare di preferenze estetiche (e anti-utilitaristiche)**, di ricerca del "bello" e simili affermazioni che assumiamo per le pratiche artistiche (come la musica) umane, anche per altri animali, principalmente mammiferi e uccelli.
Il secondo è l'accostamento con il problema della comunicazione. In questo caso, si considera la dimensione estetica di alcune pratiche animali (come il canto) all'interno della più ampia cornice della zoosemiotica, cioè di come gli organismi (tra cui l'uomo) interpretano i segni e attribuiscono loro un significato in un contesto di segnalazione, inganno, ricezione di informazioni, etc.*** L'aspetto interessante, qui, è una critica ad alcune considerazioni della storia del pensiero che hanno visto nell'arte (umana) un reame di significati distinto e trascendente rispetto ad altre attività, negandone l'accostamento con altre attività funzionali (e di converso, negandone qualsiasi possibilità all'animale, tradizionalmente inteso come macchina fisiologica). Ma se in realtà l'arte - che non è esattamente la cosa più facile da definire e, imho, non ha manco così tanto senso provare a farlo - ha comunque a che fare con l'utilizzo di simboli in una cornice interpretativa****, allora la sua appartenenza/derivazione da ciò di cui si occupa la semiotica appare fondata, mentre il gap tra estetica e "comportamento funzionale" inizia a ritrarsi.*****

Venendo al libro, è un'introduzione scritta molto bene. La prima parte si propone come un'ampia e chiara riflessione sui principi concettuali e metodologici (e le difficoltà) di questa nuova disciplina, le sue derivazioni e relazioni teoretiche da e con altri ambiti di ricerca (oltre a quelli già detti, da notare i cultural studies e l'etnologia) e le sue implicazioni rispetto ad alcuni problematiche filosofiche relative all'estetica, l'epistemologia e il nostro rapporto con il mondo naturale (vedasi la voce "antropocentrismo"). Spiega in modo dettagliato e migliore del mio le questioni che ho riassunto poco sopra, mostrando il beneficio che può trarre la musicologia classica da questa prospettiva zoo-centrica. La seconda parte guarda nello specifico ai fenomeni canori del mondo animale (ma anche extra-canori, come la tero-architettura e la pittura), concentrandosi principalmente su uccelli e cetacei (ma c'è spazio anche per altri mammiferi, anfibi, insetti). Questa parte è divisa in 3 macrosezioni, ossia le strutture (organizzazione interna e tipi di canto), le pratiche (i contesti e le funzioni in cui vengono utilizzati i canti) e le esperienze (cosa provano gli animali nell'uso dei canti). Veramente belle le prime due sezioni, meno riuscita l'ultima (però ha una divagazione sul gioco che ho trovato molto interessante).

Martinelli si dimostra un pensatore originale e controcorrente, capace di unire istanze diverse assieme in una prospettiva multidisciplinare ma anche di criticare alcune assunzioni abitudinarie e veri e propri "mostri sacri" della tradizione.****** Quest è uno di quei libri in cui esci dalla lettura con molte più domande che risposte, che per me sono le esperienze di lettura più soddisfacenti e al tempo stesso più frustanti.
Lo scimpanzé Congo cosa provava mentre dipingeva i suoi quadri? E gli elefanti thailandesi che suonano i tamburi? E gli uccelli che danzano e ballano in coppia?
L'uccello giardiniere quando fa i suoi pergolati per attirare la femmina sta solo rispondendo a un imperativo biologico o vuole anche fare qualcosa di bello?******* L'uccello lira ripete i suoni "a casaccio" o li sceglie seguendo precise preferenze estetiche?
Insomma, ma gli animali fanno davvero musica o si limitano a "comunicare sonoramente"?
E noi saremo più antropocentrici se assumiamo che la facciano o se lo neghiamo categoricamente?

Fatevela voi un'idea, io intanto vi lascio alcuni estratti:
Spoiler:
Voi lo comprereste un dipinto fatto da uno scimpanzé?
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Dalì e Mirò l'hanno fatto :love:
Comunque l'artista è Congo, lo scimpanzé studiato dal primatologo Desmond Morris, che notò il suo incredibile interesse per la tela e i colori. Notare che non venne mai usato alcun rinforzo positivo (e men che mai negativo) con lui, ma Congo si trovava stabilmente a praticare quest'attività finché non considerava il lavoro finito
Spoiler:

Uccello giardiniere, probabilmente l'animale che si sbatte di più per trombare in assoluto :fiori:
Spoiler:

Uccello Lira, il più grande imitatore della natura
Spoiler:

Elefanti e umani che suonano assieme. E' un esperimento nato un po' caso, dovuto all'accorgersi che un gruppo di elefanti thailandesi parevano divertirsi molto a nell'agitare alcuni strumenti e comporre dei suoni (è dagli anni 50 che è stato osservato un certo interesse/affinità dei pachidermi per la musica, sfortunatamente sfruttata anche da sfruttatori disinteressati al benessere di questi stupendi animali). Seguiti dall'etologo e studioso di elefanti Richard Lair (che funge da garante del benessere degli animali) e guidati dal compositore Dave Soldier, ecco a voi la Thai Elephant Orchestra

NOTE PER GLI AVVENTUROSI:
Spoiler:
* In questo senso la zoomusicologia è diretta discendente dell'etologia cognitiva e dell'etologia culturale, due distinte implementazioni dell'etologia classica (lo studio del comportamento animale).
** Ricordando uno dei motti di una corrente di estetica e storia dell’arte (quella "estetista"), ossia l'arte per il gusto dell'arte (art for art's sake).
*** La semiotica è solita distinguere i segni (qualcosa che sta per qualcos'altro) in varie sotto-categorie, come gli indici (rimandano a qualcos'altro sulla base di una derivazione causale, es. fumo-fuoco), le icone (rimandano a qualcos'altro sulla base della somiglianza, es. insetto stecco-ramo, o in generale il mimetismo) e i simboli (rimandano a qualcos'altro sulla base di un codice arbitrario assunto a livello generale, es. la maggior parte delle parole dei linguaggi umani).
**** Ricordando qui che in semiotica (Jakobson) si riconoscono almeno 6 categorie di funzioni fondamentali per i segni:
- espressiva/emotiva ("sono felicissimo!")
- conativa/imperativa ("vieni qua!")
- fàtica ("ehi tu!")
- estetica/poetica ("Amor, ch'a nullo amato amar perdona...")
- referenziale ("stiamo facendo questo")
- meta-linguistica ("il linguaggio è un sistema di segni che ...")
Inutile dire che nelle nostre pratiche artistiche troviamo molta di questa roba, dopotutto.
***** Esempio carino: c'è una sorta di convergenza culturale (transpecifica) tra il modo e il contesto in cui vengono usati i canti nelle specie di uccelli e nei cetacei e da come venivano (vengono?) usati dalle popolazioni aborigene dell'Australia, studiate da Bruce Chatwin (Le vie dei canti). In particolare, la funzione di appartenenza ad un gruppo sociale, l'utilizzo per risolvere sconfinamenti territoriali (canti usati come "passaparola") e come orientamento nel territorio sulla base delle risposte date dagli altri gruppi. Al di là del più semplice canto d'accoppiamento-serenata per la tipa.
****** Mi ha colpito molto nell'appendice il suo contrasto al noto Canone di Morgan, che è abbastanza un must negli studi biologici e una sorta di loro "rasoio di Occam": In nessun caso è lecito interpretare un’azione come il risultato dell’esercizio di una facoltà psichica superiore, se essa può essere interpretata come il risultato dell’esercizio di una facoltà di livello psicologico inferiore. Martinelli però riesce ad assumere una prospettiva critica molto interessante e ragionata, abbastanza inaspettata in un testo divulgativo del genere.
******* Altrimenti perché diavolo sceglie sempre i fiori non appassiti come decorazioni?

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

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26/52

Quale saggio scegliere per la metà di questo topic? Alla fine la scelta è ricaduta su una pietra miliare della storia della filosofia, ma soprattutto un libro che ha cambiato per sempre le fondamenta del mio pensiero. E' un testo complesso che presenterò in una prospettiva abbastanza personale, quindi anticipo che è possibile che quelli che lo abbiano già letto possano storcere il naso (è parte del gioco :firul:).

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Non penso che Nietzsche abbia bisogno di presentazioni. Ma perché proprio lui tra tanti autori della nostra tradizione? E perché proprio la Gaia Scienza tra i suoi scritti? Di solito questo testo viene considerato un po' il punto di volta del pensiero del filosofo tedesco, il passaggio dai testi della giovinezza alla maturità compiuta della sua filosofia e della sua critica alla tradizione occidentale. E' il 1882, il periodo della riscoperta di un "maestro dimenticato", Baruch Spinoza, e la fase immediatamente successiva al primo soggiorno estivo a Sils-Maria, quando per la prima volta viene "illuminato" dall'idea dell'Eterno Ritorno. Io però ho a cuore quest'opera per un altro motivo. Lo ritengo il suo testo migliore (tra quelli che ho letto, ovviamente) sia perché propone e presenta tutti i grandi temi del suo pensiero in una forma estremamente fluida e coerente, ma soprattutto per il suo stile unico e potentissimo.

La Gaia Scienza è un libro felice. E' un saggio in cui traspare un amore per la vita ed il sapere profondamente umani. Ed è un libro che riesce ad essere felice mantenendosi al contempo un'opera di critica e condanna serratissime, quasi spietata, a tutte le principali tradizioni del pensiero occidentali. Ma non c'è traccia di quello stile rabbioso, caustico, quasi risentito che emerge negli ultimi scritti, o negli attacchi a figure come Wagner (su cui sono stati scritti fiumi di testi rispetto alla sua vita e le sue relazioni). E' ancora più sorprendente se si pensa alla visione della vita che si sviluppa a partire da questa critica: una libertà spaventosa di fronte all'esistenza che non può che togliere il fiato a chiunque vi si approccia abbandonando le sicurezze (o le illusioni) dei precedenti schemi di pensiero. Eppure Nietzsche dà l'impressione di star di fronte a questa vista prima con l'eccitazione febbrile, poi con l'animo allegro e infine con la sicurezza di un danzatore in bilico sull'abisso. E in questo senso il titolo dell'opera appare davvero azzeccato: un sapere che indaga le cause delle nostre malattie (del corpo e del pensiero), ma rimanendo teso all'euforia della salute e della liberazione.*

Ma di cosa parla davvero la Gaia Scienza? A un primo sguardo sembra impossibile cercare di condensare i temi affrontati in un'unica direttiva, anche per la natura aforistica del testo. Si parla di genealogia - ossia della ricostruzione dei processi storici delle tradizioni di pensiero -, si riflette sulla natura della conoscenza e della coscienza umana, si tratta di nichilismo e prospettivismo, si espone per la prima volta l'idea di eterno ritorno, e molto altro. Non mi dilungherò su queste idee, che ritengo originalissime e un confronto ineludibile per lo sviluppo di tutto il pensiero filosofico contemporaneo, perché penso che ognuno possa farsi la propria idea andando direttamente alla fonte e vorrei concentrarmi su un altro aspetto. Io infatti penso che esista una linea continua che sottende tutta l'opera e ne costituisca il tema principale: il problema della verità, e del rapporto tra questa e l'esistenza individuale.

Fin dai primi scritti Nietzsche - di cui mi preme di ricordare la profonda conoscenza del pensiero greco, trattato lungamente in molti suoi scritti - ha considerato il tema della verità come IL problema principale della filosofia occidentale. Si potrebbe dire che la storia della filosofia sia, in un certo senso, la storia del concetto di "verità" e della sua ricerca. Tuttavia, con il tempo Nietzsche è giunto a rigettare il passato filosofico e le sue tradizione, invitandoci a guardare a questa storia piuttosto come una lunga e continua sequela di illusioni, fraintendimenti ed errori. In un altro scritto**, egli giunge a scrivere una frase che ritengo una delle posizioni più forti mai espresse nella storia del pensiero:


Che cos'è dunque la verità? Un mobile esercizio di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono state trasferite e abbellite, e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria, sono metafore che si sono logorate e hanno perduto ogni forza sensibile, sono monete la cui immagine si è consumata e che vengono prese in considerazione soltanto come metallo, non più come monete.


Questo secondo Nietzsche è quello che è stato fatto, nel complesso, dalla storia del pensiero. Una costruzione (corruzione?) di complesse mitologie basate su immagini e metafore che sono state dimenticate nel loro carattere euristico, per venire invece ipostatizzate in realtà effettive che trascendono la nostra vita. In questo modo ci siamo creati i nostri fantasmi e abbiamo finito per adorarli come idoli, consacrando ad essi la nostra esistenza. Questi sono i miti della finalità, della coscienza, della storia (e del progresso), del Bene, della conoscenza perfetta. Il mito di Dio. E in questo processo questo ci siamo nascosti la nostra finitezza, i nostri istinti, il nostro prospettivismo, la nostra volontà, la nostra libertà, il nostro corpo (" mi sono chiesto se la filosofia fino ad oggi non sia [...] il fraintendimento del nostro corpo")***.

Nell'opera di Nietzsche la verità si trasforma in "volontà di verità", nell'istinto di trovare delle ragioni necessarie e "obiettive" che diano senso alle nostre azioni, alla nostra esistenza, al nostro dominio sulla natura e sugli altri. Egli riconosce in questo processo una forma di alienazione e un meccanismo di difesa sviluppato e mantenuto rispetto alla precarietà e la gratuità dell'esistenza, selezionato storicamente (più o meno inconsciamente) grazie alla sua utilità pratica. In questo senso, il rigetto e l'abbandono delle maschere con cui l'umanità si è vestita nel corso della storia, alimentate dalla filosofia, le religioni e la scienza, non sono la critica di un moralista, ma piuttosto la constatazione di un medico delle idee che osserva il marcire degli ideali del passato, il loro trasformarsi in farsa e malattia. Ma che cosa rimane una volta che queste maschere vengono abbandonate? Come vivere senza aggrapparsi morbosamente a queste illusioni?


Che succede se proprio questo risulta sempre più incredibile, se niente più si rivela divino, salvo l'errore, la cecità, la menzogna - se Dio stesso si rivela come la nostra più lunga menzogna?***


Nietzsche contrappone a questa negazione della vita e a questo rifiuto della realtà naturale in nome delle verità trascendenti l'affermazione gioiosa dell'esistenza, il coraggio di dire sì di fronte a questo mondo ormai svuotato di valori predefiniti e fini immutabili. L'uomo che assume questa prospettiva non è l'uomo della disperazione, ma l'individuo liberato dalle illusioni e capace di reggere il peso di tutto ciò che la realtà contiene; è l’uomo che non si inchina a una trascendenza già data, ma che lotta per trascendere le situazioni del reale e assume da sé i propri valori; è un uomo che fa della propria vita un esperimento per la conoscenza e che trova in questa conoscenza un accrescimento di sé e della propria gioia.****


L'ideale di uno spirito che [...] gioca con tutto quanto fino a oggi fu detto sacro, buono, intangibile, divino; uno spirito per il quale il termine supremo, in cui il popolo ragionevolmente ripone la sua misura di valore, significherebbe già qualcosa come pericolo, decadenza, abiezione, o per lo meno diversivo, cecità, effimero oblio di sé; è l'ideale di un umano-sovrumano benessere e benvolere, un ideale che apparirà molto spesso disumano, se lo si pone, a esempio, accanto a tutta quella serietà fino a oggi esistita [...] - un ideale con cui, nonostante tutto ciò, comincia forse per la prima volta la grande serietà, è posto per la prima volta il vero punto interrogativo, con cui il destino dell'anima ha la sua svolta, la lancetta si muove, la tragedia comincia...*****


Sono molte sono le espressioni usate dallo stesso Nietzsche per descrivere alcuni aspetti di questa dimensione, tra cui "Oltreuomo", "Trasvalutazione dei valori" e "Amor Fati"*****. Sono sicuramente concetti fondamentali su cui sono state scritte fiumane di inchiostro validissime (spesso contrapposte tra loro), ma non sono punti che voglio toccare (né sarei in grado di scrivere approfonditamente). Il motivo per cui il pensiero nietzschiano (e specialmente questo testo) mi sta a cuore è che penso sia uno degli autori (insieme a Camus) che più mi hanno insegnato a stare di fronte alla vita. Ad affrontare le sfide dell'esistenza senza rifugiarsi in comode illusioni consolatorie, a non appoggiarmi alle "verità" tramandate dalle nostre tradizioni, a guardare in faccia la realtà con la consapevolezza di essere il fondamento delle mie scelte e delle mie azioni. E che una verità non va semplicemente guardata e adorata come un idolo, ma assunta individualmente, messa alla prova continuamente e "incarnata" nelle proprie scelte di vita. Non penso che questo atteggiamento sia - come mi è capitato di leggere/sentire - l'affermazione di un relativismo solipsistico o di una cultura del sospetto continuo, ma una continua vigilanza critica e integrazione nella realtà storica in cui viviamo di quello con cui entriamo a contatto e impariamo a conoscere come "verità".


No. La vita non mi ha disilluso! Di anno in anno la trovo invece più vera, più desiderabile e più misteriosa – da quel giorno in cui venne a me il grande liberatore, quel pensiero cioè che la vita potrebbe essere un esperimento di chi è volto alla conoscenza – e non un dovere, non una fatalità, non una frode! E la conoscenza stessa: può anche essere per altri qualcosa di diverso, per esempio un giaciglio di riposo o il percorso verso un giaciglio di riposo, oppure uno svago o un oziare; ma per me essa è un universo di pericoli e di vittorie, in cui anche i sentimenti eroici hanno la loro arena. "La vita come mezzo della conoscenza": con questo principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma perfino gioiosamente vivere e gioiosamente ridere!*******


NOTE:
Spoiler:
*Ricordando che nel periodo precedente alla stesura, Nietzsche fu in preda a violenti attaccati di malattia, epilessia e vomito. Ma alla fine di questo periodo racconta di aver vissuto momenti di intensa gioia e vigore intellettuale, come testimoniano anche gli idilli scritti in questo periodo.
**Io lo consiglio sempre come primo approccio a Nietzsche, per la sua pregnanza e brevità: Su Verità e Menzogna in senso extra-morale. Un capolavoro.
***Prefazione
****Aforisma 344.
*****Ricordando qua l'influenza di Spinoza, che parla conoscenza come processo che affetta l'uomo aumentando la potenza individuale.
******Aforisma 372.
*******Inciso su Amor fati ed Eterno Ritorno non richiesti (e penso minoritari): io non lo considero tanto come l'affermazione di un processo ontologico di ritorno destinale di tutte le cose, quanto come una sorta di assunzione individuale rispetto alla propria libertà. In altre parole, l'ho sempre letto come un: "agire e vivere liberamente significa assumersi delle scelte che compiresti di fronte a quella situazione in eterno, e che saresti disposto a rivivere per sempre". Hot take personale.
********Aforisma 324.

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

Voglio condividere con voi l'anniversario di una storiella simpatica.

30 Giugno 1860.
Nell'Oxford University Museum of Natural History si consuma un'accesa discussione sul tema dell'evoluzione, nota da allora anche come il Grande Dibattito. Siamo a sette mesi dalla pubblicazione della prima edizione de L'Origine delle Specie di Darwin, grande assente del giorno (per via di una malattia che lo tiene a letto). A guidare le fila dei suoi sostenitori, l'immancabile Thomas Henry Huxley, brillante zoologo e grande oratore/scrittore (soprannominato "il mastino di Darwin"); dall'altra parte, il vescovo Samuel Wilberforce è pronto a dare battaglia per difendere la visione che vuole le specie immutabili e la natura ordinata da un Dio buono e sommamente previdente.

Come nei migliori talk show, la leggenda vuole che a un certo punto Wilberforce abbia incalzato Huxley con una provocazione sui suoi possibili antenati scimmieschi, chiedendo (pare) se essi appartenessero al ramo di famiglia del padre o della madre. Al ché il buon Huxley avrebbe dato una risposta particolarmente ispirata:

Se mi si richiede se io preferisca avere come nonno una misera scimmia o un uomo intellettualmente dotato per natura e di grande influenza, ma che tuttavia usi i suoi strumenti e questa influenza per il mero scopo di porsi in ridicolo in una seria discussione scientifica, non esito ad affermare la mia preferenza per la scimmia.

:godimento: :godimento: :godimento:

Ci sono un po' di storie contrastanti su come andò, alcune che parlano di contrasti accesi e anche uno svenimento femminile tra il pubblico, altri parlano di contendenti che vanno a mangiare assieme a fine incontro. Ma il pensiero di Huxley che prende per il culo il vescovo di fronte a tutti mi spezza sempre :love:

Oltre al fatto di aver sentito ancora recentemente battute/critiche tipo quella di Wilberforce da parte di odierni detrattori dell'evoluzione, ma va detto che al tempo doveva essere sembrato un motto di spirito parecchio arguto :ammiccante:

In onore del recente annuncio della nuova stagione di Futurama metto anche questo spezzone:

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

27/52

Un po' lungo oggi, sorry.

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Questo è un saggio veramente fantastico e una pietra miliare del pensiero scientifico, ma non solo. Il suo autore, Jacques Monod, è stato un famoso biochimico e pioniere degli studi sul batterio E. Coli, vincitore del premio Nobel nel '65 insieme Jacob e Lwoff per le loro scoperte sui processi genetici per la sintesi di enzimi e sui virus (forse Hellcome potrebbe dirci di più, se ha voglia/tempo). Nella sua vita, da segnalare la partecipazione attiva nella resistenza francese, periodo nel quale entra in contatto e diventa amico di Albert Camus.* Aspetto che diventa particolarmente interessante quando notiamo che il saggio qui presentato si apre proprio come una citazione al Mito di Sisifo, e che alcune tematiche presentate al suo interno richiamano temi affrontati dall'esistenzialismo del pensatore algerino. Da parte mia, mi piace anche pensare che il Dr. Rieux de La Peste sia parzialmente ispirato al biochimico francese, ma penso sia difficile da dimostrare. In secondo luogo (e altro punto di contatto con Camus), il suo successivo anti-stalinismo, con particolare rilievo per il contrasto alle tesi lamarckiane di Lysenko, propagandate dal regime sovietico.

Venendo al libro, si tratta di uno dei saggi biologici più di successo dopo l'Origine delle Specie. Il tema principale, come da titolo, riguarda il rapporto tra caso e necessità rivisto alla luce dell'evoluzione biologica. Contrariamente alla critica che vuole il mondo evoluzionistico come una realtà retta dalla casualità, Monod risponde invece che i processi biologici sono piuttosto regolati da una continua dialettica tra il caso, inteso come eventi non rigidamente determinati ma soggetti a regole probabilistiche, e la necessità, intesa come una logica selettiva che poste certe condizioni storiche e ambientali produce un certo esito rispetto ad altre possibilità. L'evoluzione non è dominata dal caso, ma alimentata da esso e filtrata attraverso delle regole di selezione. In termini biologici, il caso sarebbero quindi le mutazioni accidentali del materiale ereditario**, la necessità le particolari condizioni della lotta per la sopravvivenza e la selezione che determinano l'assestarsi di certi cambiamenti rispetto ad altri. All'interno del saggio questa dicotomia è analizzata attraverso gli studiti sulla biochimica cellulare, analizzando l'attività delle proteine e degli acidi nucleici (rimanendo sempre ad un livello abbastanza divulgativo).

Un aspetto interessante di questa trattazione è che secondo Monod la visione della natura derivante da tali studi non può che risultarne radicalmente trasformata. In tutta l’opera l'opera di Monod si verifica il passaggio al modello epistemologico della neutralità della natura, che investe non solo l'immagine della scienza moderna e contemporanea, ma anche l'idea della prassi, ossia il significato che la nostra cultura attribuisce all'azione degli uomini e alla loro morale. Il fulcro attorno a cui ruota la filosofia naturale presentata da Jacques Monod è la questione della finalità naturale a confronto con quella umana. Per Monod il postulato di oggettività della natura, che è alla base della spiegazione scientifica dell’universo, corrisponde al rifiuto sistematico a considerare la possibilità di pervenire a una conoscenza "vera" mediante qualsiasi interpretazione dei fenomeni in termini di cause finali , cioè di progetto.

Questa visione sembra in apparente contrasto con gli strabilianti adattamenti delle forme di vita. Come si può parlare di una natura svuotata di cause finali quando gli esseri viventi mostrano una così grande affinità tra le proprie dotazioni biologiche e le sfide che devono affrontare nei loro ambienti? In effetti i sistemi viventi, sembrerebbero attestare una finalità che ne regola sviluppo, funzioni e riproduzione. Questa è l’apparente contraddizione che la biologia molecolare di Monod si propone di sanare, attraverso il concetto di teleonomia. Ciò che a livello macroscopico si presenta come un'attività orientata e finalizzata, a livello molecolare è spiegabile in termini di interazioni strutturali tra macromolecole, cioè di interazioni tra proteine, dovute semplicemente alla loro forma: l'interazione tra la casualità delle mutazioni che ha portato nel tempo all'emergere di tali forme e le condizioni di vita degli organismi (selezione naturale) ha portato come risultati a tali adattamenti, che non sono dunque lo svolgimento di fini a priori da parte di un Progettista intelligente, quanto l'esito a posteriori di "accoppiamenti felici" che hanno portato alla sopravvivenza e alla riproduzione.

Una volta esclusa la teleologia dalla spiegazione scientifica dei fenomeni legati alla vita (e qui passiamo dalla scienza alla metafisica), le cause finali risultano estranee a alla natura biologica e valide nel solo ambito della soggettività umana, dell'azione degli uomini. Perché e in che senso? La risposta ci riporta all’esistenzialismo di Camus. In breve, secondo Monod l' assolutizzazione dell'idea dell'oggettività della natura , intesa come la sua totale estraneità alle cause finali, può essere tradotta nella tesi della neutralità della natura in merito ai fini che gli uomini si propongono. Se il caso, da cui l'uomo emerge come ente morale, un ente che cioè si pone dei fini, corrisponde alla totale assenza di una finalità nella natura, allora la natura stessa, intesa sia come ambiente naturale, sia come essenza dell'ente-uomo, non può fornire nessuna indicazione all'azione degli uomini***: nel pensiero di Camus questa è la reciproca estraneità tra l'uomo e il mondo, che si traduce nell'assurdo e costituisce la base per l'assunzione individuale della ricerca di significato.

La differenza tra i due pensatori (e non è poca) è costituita, tuttavia, dal ruolo attribuito da Monod al pensiero scientifico in questo processo di disvelamento della natura morale dell'uomo, cosa che porta il biochimico francese a tracciare ciò che lui stesso ha definito come etica della conoscenza. Secondo Monod, l'evoluzione della specie umana ha portato alla comparsa di un nuovo regno nel mondo della vita, cioè il regno delle idee e della conoscenza. Per Monod la razionalità è il frutto dell'evoluzione casuale della vita; essa non è una caratteristica dell'essere in quanto tale, bensì caratteristica peculiare ed esclusiva della specie umana, novità assoluta che emerge dal movimento evolutivo****. Le idee che sopravvivono nella storia dell'umanità, sono per Monod quelle che forniscono agli uomini una risposta al problema della posizione dell'uomo
nel cosmo. L’esigenza di risolvere questo problema è connaturata alla nostra specie, che è una specie eusociale, bisognosa di una guida ai comportamenti individuali e collettivi che risulti vantaggiosa per la comunità. In questo senso la scienza, ossia il perseguimento di una "conoscenza oggettiva", non attacca tanto i valori ma il loro fondamento ontogenetico, le mitologie e metafisiche su cui i valori si sono fino ad oggi fondati.

Per questo secondo Monod il messaggio profondo della scienza impone una revisione del concetto di moralità: la scienza moderna, fornendo la propria interpretazione della natura, nega che dei valori e dell'etica possa essere fornita una fondazione di tipo metafisico. Essa nega che il contenuto di questi valori, il contenuto del dover essere che l'uomo impone a se stesso, possa essere confrontato con ciò che accade in natura, con un'ipotetica natura dell'uomo. Secondo Monod è l'uomo stesso a definire il giusto e l'ingiusto, a tracciare la direzione della propria esistenza. Così l'uomo non è colui che decide la modalità con cui realizzare il proprio dover essere, ma colui che stabilisce il proprio dover essere senza avere altro riferimento se non il contenuto della nostra stessa volontà. Esattamente come l’etica dell’eroica resistenza contro il nazismo era stata, per lui e Camus, il frutto della libera scelta di un valore primitivo (la difesa della libertà, anche a costo della propria vita) che si era imposta alla loro volontà, sotto il segno dell’autenticità.

Dunque, un saggio a cavallo tra scienza e la metafisica, dove i risultati di un'interpretazione scientifica della natura aprono a (ma non specificano rigidamente) una posizione rispetto al problema esistenziale dell'agire umano nel mondo e dei sui valori. La scrittura è particolarmente ispirata, molto chiara nel tracciare le problematiche scientifiche, nello spiegare i processi biologici (con tanto di illustrazioni) e nel riflettere sulle conseguenze che queste hanno a livello filosofico. A dirla tutta ci sono diversi punti in cui io non mi trovo concordo con le riflessioni di Monod.
Da un punto di vista scientifico, ritengo che la dialettica tra caso e necessità, per quanto intrigante, sia più complessa di quanto indicata dal biochimica: un po' perché quello di caso è un concetto polisemico e aperto a molteplici interpretazioni, e un po' perché parlare di necessità indicando la selezione naturale mi sembra uno stretching concettuale non sufficientemente giustificato. A mio parere i processi evolutivi si snodano in una via terza rispetto a questa suddivisione, che alcuni autori hanno preferito chiamare "contingenza", e che non si presta così bene alla categorizzazione popolarizzata da Monod.
In secondo luogo, mi pare che sia indubbio che la visione scientifica del mondo oggi debba avere un ruolo nelle nostre riflessioni concernenti la nostra dimensione esistenziale, metafisica e morale, e trovo che il ruolo offerto da Monod sia interessante proprio perché non presuppone nessuna rigida determinazione naturalistica e nessuno "scientismo" dei valori. Tuttavia, penso anche che nel saggio manchino delle riflessioni sui pericoli di una presa di posizione "solo" scientificizzata sui problemi morali umani (cioé senza una riflessione meta-scientifica che affronti problemi di metodi, posizioni valoriali, etc.), che mi sembra abbastanza importante in un'opera come questa. Non che Monod sia un'ottimista scientifico acritico stile transumanesimo, anzi (e le sue critiche all'uso di regime delle tesi di Lysenko stanno lì a dimostrarlo), ma comunque avrei gradito più chiarezza su questo punto invece di parlare di "regno delle idee" e simili.

In ogni caso un saggio veramente fondamentale e molto godibile, particolarmente consigliato a chiunque lavori in ambiti scientifici e a chiunque voglia riflettere sui rapporti tra scienza e problemi valoriali.


NOTE PER GLI AVVENTUROSI:
Spoiler:
*Recentemente, Telmo Pievani ha pubblicato un romanzo/saggio su un'ipotetica relazione intellettuale tra i due pensatori incentrata sul tema della Finitudine. Non è esattamente un gran libro, ma per i lettori di Camus o gli apprezzatori dell'esistenzialismo può rivelarsi una lettura simpatica.
** Sempre Pievani ricorda che il significato di questo termine nella teoria dell’evoluzione è duplice. Da una parte, esso ha una connotazione epistemologica, ossia indica la nostra ignoranza o la nostra indifferenza rispetto alle reali cause di una variazione individuale, di cui ci interessa principalmente l’effetto per l’organismo portatore nell’aumentare la sua fitness, ossia nel dare il suo contributo alla sopravvivenza e al raggiungimento dell’età riproduttiva, così come alle generazioni successive. Dall’altra, il termine “accidentale” sottende qui anche un’altra caratteristica, ben più gravida di conseguenze: la comparsa delle variazioni è causalmente indipendente dagli ambienti in cui gli organismi vivono, ed è dunque “accidentale” rispetto agli effetti – positivi, negativi o neutri – che essa avrà sugli individui portatori. Ciò significa che non è l’ambiente a dirigere le variazioni a cui saranno soggetti gli organismi, e che gli individui non variano né si trasformano per rispondere alle necessità ecologiche. Le variazioni ereditarie (accidentali) e le condizioni ecologiche a cui i portatori sono sottoposti – che ne definiscono la lotta per l’esistenza – seguono due linee causali indipendenti che interagiscono nella vita dei singoli viventi. Vedasi La vita inaspettata. Il fascino di un’evoluzione che non ci aveva previsto, pp. 113-114.
***In filosofia morale il filosofo G. Moore ha proposto una formulazione abbastanza chiara su questo punto, chiamata fallacia naturalistica: è l'errore che si compie quando si deduce un imperativo o norma morale (un dover essere) da uno stato di cose (un così è).
****C'è da dire che l'accento posto da Monod sul ruolo della razionalità per l'essere umano e la sua identificazione con la soggettività (ciao Cartesio) lo pone pienamente dentro la tradizione moderna. Il ché è una nota piuttosto dolente per me :cia:

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Hard Is Ono »

Io ho questo sul comodino.

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

Lo conosco di fama, ma non mi sono mai preso la briga di recuperarlo.

Di Lewontin ho letto qualcosa negli anni, avendo approfondito (e apprezzando) lo sviluppo della cosiddetta "Sintesi estesa" nel dibattito della biologia evoluzionistica. E' stato un pensatore abbastanza eterodosso, noto soprattutto per la sua critica al riduzionismo genetico e all'adattazionismo metodologico (ossia l'idea per cui la selezione naturale sia IL meccanismo primario e pervasivo dei processi evolutivi). Oltre a questo, è da una sua intuizione che è nata quella branca della biologia/ecologia nota come "costruzione di nicchia".

Devastante l'articolo scritto a 4 mani con Gould sui "pennacchi di S. Marco", praticamente uno schiaffo in faccia ai vari Dawkins, Wilson e vari fautori della Sintesi Moderna, e molto bello il piccolo saggio "Gene, Organismo e Ambiente" (volevo portarlo in questo topic) che dà uno sguardo molto interessante sui rapporti tra geni, sviluppo individuale ed ecologia. In generale, molto godibile da leggere anche perché mostrava una buona padronanza dei concetti della tradizione filosofica (nel secondo testo le prime pagine dedicate al concetto di "macchina" e del suo utilizzo storico sono proprie belline).

Volevo recuperare i suoi libri sul rapporto tra biologia/genetica e ideologia, che sicuramente sono molto interessanti (una mia amica ci aveva fatto una tesi sopra e mi aveva gasato).

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

Ho mollato un attimo il topic un po’ per l’estate, un po’ per robe di lavoro e un po’ perché il periodo in generale è stato “bruttarello” e mi ha fatto perdere la voglia di fare molte cose, ma prima o poi lo riprendo.

Quindi diciamo che sono in pausa per ampliare le mie letture, dai (e mi sono concesso una rilettura/audiolibro di Singer, che ha sempre il suo perché).

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

Riuppo momentaneamente il topic per fare una domanda a Hard is Ono (o anche altri ferrati su temi di economia/antropologia/sociologia).
Ho dovuto leggere un articolo di Karl Polanyi ("The economy as instituted process") e mi ha un po' incuriosito, quindi sto valutando in futuro di leggere la sua opera principale, La grande trasformazione.
Se l'hai letto, pareri?

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