Fusarone ricordami perchè non sei nel gruppo whatsapp, oltre all'incapacità persuasiva di Carlo da quando ha cambiato gimmick
La 03x08 di Twin Peaks la faccio la prossima settimana che così ho il tempo di lurkarmi per bene i gruppi fb su tp che lurka pure il Settis e che son pieni di gaetani
Quello che hai votato 4/5 l'avevo già mezzo leggiucchiato qualche giorno fa perché mi impressionava l'enorme quantità di link presenti ed era solo una lista di citazioni praticamente (Inland Empire, Cosmos, Adieu au language, La Chinoise, Blow Up, Il maschio e la femmina, la saga di Doinel di Truffaut, Chung Kuo Cina, Mao di Warhol, Under Electric Clouds, Wang Bing, Antoine d’Agata, L’Atalante, Al di là delle montagne, The Hedonists, Platform, No Home Movie). Oltretutto mi hanno detto che il regista italiano gli ha fatto i complimenti per la rece quindi pensa che markone è pure questo regista.
Condivido l'opinione su Gance quindi per questa puntata castrerò IL SETTIMO VIAGGIO DI SINBAD, perché l'incipit è veramente impressionante e perché mi fa sbragare che nel 2017 ci siano ancora difensori dei kolossal
Castrating The Settis ep. VI - The 7th Voyage of Sinbad
Il problema del cinema d’intrattenimento “epico” odierno non è la sua superficialità, ma l’ostentazione della pretesa di un’assenza di tale superficialità
Bisogna ammetterlo, l'Iliade, l'Inferno di Dante, La metamorfosi, Le notti bianche, Se questo è un uomo, Essere e tempo, Hiroshima mon Amour, ecc. Tutti i loro celebri incipit IMPALLIDISCONO di fronte alla sconvolgente apertura di questa recensione. Un pensiero così profondo, così abissale, così programmatico eppure così poco presuntuoso, che bisogno c'è di leggere il resto? C'è già stato dato tutto: il problema dei kolossal odierni è questo ostentare un'ostentazione, questo pretendere una pretesa, questo presumere una presunzione. Illuminante, che mondo buio che era prima di questa rivelazione, tipo Zarathustra che ridiscende la montagna questa scrittura. Poi, al solito, come Settis conosce il biz, non c'è PepsiPlunge che tenga, i registi odierni ostentano l'ostentazione dell'assenza di superficialità, cioè fanno di tutto per non sembrare superficiali quando invece lo sono e dovrebbero ammettere d'esserlo, perché Settis sa cos'è la superficialità, è tipo Schopenhauer che c'ha tolto il velo di maya e noi ora sì possiamo riconoscere finalmente dove risiede la superficie e dove la vera profondità, dove la rappresentazione e dove la volontà di vivere. Tutto questo solo con una frase, tutti gli altri incipit posson solo accompagnare.
Gli effetti speciali digitalizzati, per quanto sicuramente più realistici e creativamente più fluidi di quelli di un tempo, contribuiscono a questa sostanziale diminuzione del fascino, che punta alla costruzione magari di universi più coerenti e complessi, anche seguendo franchise che necessitano una propria coerenza interiore. In questa sorta di autoerotismo industriale e artificioso, è difficile provare simpatia per il presente, anche perché tendenzialmente i film più belli e importanti del genere, come I Guardiani della Galassia, Vol. 2, sono comunque quasi sempre opere in ogni caso relativamente ribelli, diverse
Questa ripresa della sintassi trapattoniana la apprezzo molto. Il Settis, come I Guardiani della Galassia, è il ribelle del liceo classico, quindi sta reinventando la lingua italiana mettendo otto proposizioni in una sola frase. Una sorta di autoerotismo anche questa, o una sorta di suplex. Detto questo, il digitale porta alla creazione di mondi immaginifici più realistici ma senza fascino, bene, cos'è il fascino? Perché sarebbe masturbazione creare un mondo coerente e realistico? Dove sta l'artificiosità? Solo perchè è in digitale? Quindi il digitale crea mondi realistici ma irrealistici perché in digitale, k.
la meraviglia è un qualcosa che a volte sembra mancare, soprattutto quando è asservita a una sceneggiatura particolarmente debole
Io sono quasi certo a questo punto che per meraviglia intenda veramente quelle di Age of Empires, ma nessuno gli dica che sono tutte in digitale perché potrebbe impazzire.
è importante quanto sia palese e sbandierata la leggerezza della sceneggiatura, votata a mettere in risalto il recupero della mitologia come motore universale delle faccende umane e, qui, di quelle cinematografiche, superiori per potenza immaginifica e inferiori per realismo.
La leggerezza mette in risalto il recupero? Superiori e inferiori a cosa? Due domande: perché non è sbandierata la leggerezza della scrittura? Ha veramente fatto le superiori? La leggerezza mette in risalto il recupero.
Il Mito, nello sguardo dello spettatore medio americano a cui il film è destinato, è un delirante micromondo postmoderno che in sé include Allah come Omero con i suoi ciclopi o con Scilla e Cariddi, o anche la lampada magica di Aladino e i draghi di Sigfrido e de I Nibelunghi di langhiana memoria. In questa superficiale visione di un piccolo sguardo su un grande immaginario senza capo né coda, la semplicità sembra la chiave per la perfetta penetrazione in un universo involontariamente nostalgico, quanto colmo di grandi trovate.
Fossero semplici queste frasi oh! Cosa cazzo vuol dire la prima frase? "include... come... con... anche" ma utilizzarne uno per tutti? Perché Mito? Cioè se è il mito in sè, perché metterci dentro lo sguardo dell'americano medio? O è la storia rappresentata a essere dello stesso sguardo verso quella mitologia? Nel Mito ci stanno i draghi di Lang? O ci stanno per l'americano medio? O è solo per fare l'ennesima citazione colta e senza un punto? Cos'è senza capo nè coda? Il grande immaginario o la superficiale visione? Perché quello dell'americano medio sarebbe un piccolo sguardo? Perché una storia mitica sarebbe un grande immaginario? Ma era poi il Mito o il mito visto dall'americano? Io mi son perso. Ma io non posso crederci, questo s'è diplomato lo scorso anno, in 5 anni di classico nessuno gli ha mai detto di togliere tutti sti cazzo di aggettivi e preposizioni?
In questa trama semplicissima vale tutto: vale ogni ingenuità nella storia, vale ogni parentesi nel tempo e negli immaginari delle diverse epiche, vale ogni trovata di Harryhausen, tra le quali spicca uno scheletro spadaccino che precede la celeberrima armata ne Gli Argonauti (1963) di Don Chaffey da lui creata; e tutto ciò, ancora oggi, può creare stupore e divertimento a livello completamente naïf. È un cinema puro e senza pensieri, quello di Nathan Juran, fatto di pozioni e di tesori, di geni della lampada e di creature mostruose, nella cui costruzione non può che essere trovata una certa grandezza, un afflato epico che si pone fuori dal tempo.
Vale ogni ripetizione, vale ogni anafora, vale ogni aneurisma da parte di chi legge. Poi, ci sono tradizioni cinematografiche che si sono definite "cinema puro", tipo Chomette e Clair in Francia o Kaeriyama e Tanaka in Giappone, quindi perché mi si butta lì cinema puro senza un minimo di spiegazione o di contesto? Molto probabilmente quello che lui chiama cinema puro è quello che gli stessi Clair e Chomette rifiutavano, ma vabbè, è fuori dal tempo, ed è fuori dal tempo perché sì.
Con la sconfitta del drago da parte della gigantesca balestra che sancisce la vittoria della tecnica sulla magia (e forse del tecnicismo sull’inventiva, anche se forse la prima trilogia tolkieniana di Peter Jackson è stata una pietra tombale più definitiva sull’immaginazione a livello fantasy)
Settis, mettitelo in testa, non tutti i lavori devono avere implicazioni meta, magari è possibile che siano solo rappresentazioni fittizie e basta? Mark.
Un commento del Caccia alla frecciatina a PJ plz
C’è una vera bellezza, nascosta nei meandri di qualcosa che può sembrare così diverso per i nostri occhi stanchi e appisolati dal ripetersi ostentato dei simboli di altro
American Beauty levate, grammatica levate, che bellezza questa frase. "C'è una bellezza nascosta nei meandri di qualcosa" "Quel qualcosa può sembrare diverso per gli occhi" "Gli occhi sono appisolati dal ripetersi dell'ostentazione dei simboli di altro". Io ci rinuncio, andate a cercare di capire voi che voleva dire, capite voi che minchia è il qualcosa o che è minchia è l'altro, capite voi che è la ripetizione dell'ostentazione dei simboli, io ci rinuncio
le Mille e una notte diventano viaggio nella cinefilia, nella magica lampada di una magia che è magia vera e magia di celluloide, nel colore delle fantasie del passato remoto che diventano quelle del passato recente, nella malvagità di un futuro/presente meno artigianale in cui è più problematico tentare di credere negli eroi e nelle prospettive della follia
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