I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

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Inklings
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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

Update su una notizia molto triste (almeno per me).
Oggi è morto Daniel Dennett, che considero uno dei più grandi filosofi contemporanei. La cosa affascinante è che spesso mi trovavo in disaccordo con le sue posizioni, ma lo consideravo ugualmente uno degli intellettuali più interessanti che abbia mai letto. Prossimi giorni cerco di portare un suo saggio.
Che la terra gli sia lieve.




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Darth_Dario
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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Darth_Dario »

Momento di pubblicità senza ritegno: ho scritto anche io un libro, che guarda caso è proprio un saggio.

Si chiama "L'orribile gioco" e visto che sono pigro e imbarazzato copio la sinossi che mi ha fatto la casa editrice: "L’orribile gioco" analizza la funzione della dipendenza nella vita dell’uomo. Per anni questa parola è stata associata alla droga; oggi, però, dopo anni di onnipresenza del tema nella comunicazione, sembra non ne parli più nessuno… Che cos’è cambiato? Partendo da esperienze personali, analizzo le ossessioni che turbano l’animo umano, andando al di là del concetto di dipendenza associato alle sostanze stupefacenti.

Inizialmente avrei voluto parlare della storia dell'eroina e dei drogati in Italia, di come sia stata una guerra che ha fatto vittime ovunque e di cui all'improvviso non si è parlato più. Poi ho deciso di renderlo qualcosa di più personale e generale.

È pubblicato con Affiori, la catena per esordienti del gruppo Giulio Perrone. Se qualcuno è interessato, lo può trovare qui:

https://www.giulioperroneditore.com/pro ... ile-gioco/

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Inklings
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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

Bravo Dario Immagine

E sembra pure interessante :moltosorpreso:

Un giorno piacerebbe anche a me entrare nel novero dei saggisti pubblicati, per ora sono arrivato “solo” fino ad alcuni paper su riviste .:disgusto:.

Avevamo mica un topic sulle robe scritte dagli utenti?

P.S: Commentami la mia proposta di torneo :arrabbiato:

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Inklings
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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

Immagine

Complice l’ennesima cancellazione di un treno Milano-Bergamo (Trenord merda sempre), ho avuto tempo di leggere il libro del nostro Dario, e visto che ci sono ne approfitto per fare un update di questo topic e fargli un po’ di pubblicità per ringraziarlo della copia gratuita :wooo:

Cazzate a parte, il libro mi è sinceramente piaciuto. E questo vale sia per il contenuto che per lo stile.


Sul secondo punto cerco di essere breve: ho ritrovato lo stesso modo di esprimersi che Dario usa qua sul forum. Nessun termine eccessivo, una forma molto colloquiale e sintetica che cerca di andare al punto ma senza precludersi qualche riflessione e divagazione più profonda. Mi é piaciuto non solo perché lo trovo uno stile giusto per un libro divulgativo, ma anche perché mi conferma l’impressione che l’utente Dario e i suoi modi di interagire con gli altri non siano poi diversi da quello dell’autore/persona Dario. E niente, non sarà molto, ma trovare della sincerità nel (wrestling) web per me non é una cosa così scontata.


Sul contenuto, il libro si gioca tutto sul tema della dipendenza, mostrando come questo fenomeno non sia qualcosa di relegato a quelli che noi chiamiamo “drogati”, ma un tipo di relazione con le cose del mondo che caratterizza (in forme e modalità diverse) ciascuno di noi. Mi piace l’idea di guardare alle dipendenze come ad una faccia “oscura” ed ineliminabile del desiderio umano di “riempimento” del proprio vuoto, di affidare a qualcos’altro una promessa di soddisfazione duratura che (come la Luna del “Caligola” di Camus) rimane sempre irraggiungibile.*

Al tempo stesso, il saggio indaga come questa dinamica è influenzata e amplificata dalla struttura socio-economica in cui viviamo in quanto consumatori, caratterizzata da un’infinità di merci e prodotti pensati e messi a disposizione esattamente per sfruttare e incanalare la nostra “tendenza alla dipendenza”. Un “orribile gioco”, come lo definisci, che alimenta una perenne illusione di soddisfacimento e un’assuefazione a categorie di merci pubblicizzati come promesse del nostro bisogno di felicità, indipendentemente dalla categoria a cui appartengono (cibo, beni, sesso, etc.).**

É un punto che ho trovato interessante e mi ha ricordato un mio amico (futuro psicanalista) che ha scritto una tesi su un aspetto che aveva chiamato “imperativo del godimento”, che era un lettura del rapporto tra società consumistica e alcune patologie mentali (lui si era concentrato sui disturbi alimentari, ma penso che risuonerebbe abbastanza con il tuo libro). Anche lui come te, tra l’altro, metteva in luce questa estrema libertà di soddisfacimento con i beni più disparati con il persistere di un senso di colpa negli individui, ulteriormente alimentato dalla compresenza di input contraddittori presentati come soluzioni possibili a problemi indotti da una stessa società ipertrofica.***


Sei riuscito anche a integrare bene riflessioni generali a esperienze di vita personale****, e mi é piaciuta molto quando hai parlato della terapia. Tu l’hai paragonata ad un armadio da cui togliere i vestiti a uno a uno per poi provare a rimetterli dentro riorganizzandoli, e mi sembra un bel paragone*****. Soprattutto per quello che (almeno personalmente) penso sia la più grande paura nell’affrontare quel percorso: la vista dell’armadio quando è vuoto, e il pensiero che non siamo altro che i vestiti con cui abbiamo provato a riempirlo.

E credo che questo centri con quello che dici sui “drogati” e le dipendenze perché posso capire che una persona arrivi a pensare di non essere nulla senza la propria dipendenza. Che é una cosa che risuona anche in me, perché, per quanto possa sembrare assurdo, mi capita spesso di pensare che la mia depressione sia “parte della mia identità”, che senza di essa io non sarei più me stesso. E forse questo vuole dire che c’è una parte di me che é dipendente da quel disagio, che é assuefatta a stare in un certo modo ed è questo che rende così difficile liberarsene.
Ma penso sia un discorso che possa risuonare, in modi e forme diverse, con ciascuno di noi.


Vabbè, usciti un attimo da queste divagazioni personali, mi permetto giusto due critiche.

La prima é che mi sarebbe piaciuto avere un capitolo dedicato ai meccanismi cerebrali/biologici delle dipendenze, che penso avrebbero arricchito il saggio. Ma capisco che sia una cosa dovuta più allo spirito di “scienziologo” che é in me, probabilmente questa cosa sarebbe stata più difficile da integrare con il resto del libro e forse sarebbe risultato un pochino meno divulgativo e personale.

La seconda è che avrei voluto un approfondimento sul tema delle dipendenze rispetto alle relazioni. Ho trovato doverosa la parte sul sesso e la pornografia, ma penso che potrebbe esserci qualcosa da dire anche sulle dipendenze (e co-dipendenze) affettive, soprattutto in un tempo come il nostro dove le notizie di relazioni tossiche che finiscono in tragedia si sprecano.


Al netto di queste note da cagacazzo, l’ho trovato un bel libricino e ti ringrazio di avermelo mandato, non solo perché mi hai riempito il vuoto di una mattina rovinata dai treni, ma perché sei riuscito a farmi riflettere su una serie di temi che ritengo importanti.

In sintesi per Catarro (e chiunque altro qua dentro): sí, direi che merita una lettura (é pure breve).

Spoiler:
*mi permetto la cit. perché nel testo fai riferimento a Sisifo, altro grande personaggio Camusiano (mio best autore evah) che riprende un po’ questo tema.
** non so se l’hai mai vista, ma su questo tema mi verrebbe da consigliarti (visto anche i tuoi riferimenti alle produzioni televisive) la serie Mad Men, che esplora parecchio questo punto.
*** mi ricorda un po’ la teoria del doppio vincolo di Bateson: due stimoli comunicativi opposti che i soggetti non riescono più a interpretare in modo univoco e con il tempo possono dare vita a comportamenti e forme schizofreniche.
**** anch’io ho fatto un pellegrinaggio alla fine del Liceo (in Polonia), e rimane a tutt’oggi (da ateo) una delle esperienze più belle della mia vita.
***** parlandone con il già citato amico, una volta mi era venuto da descriverla come una cipolla da cui togliere gli strati, uno alla volta.

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c'hoçtreß
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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da c'hoçtreß »

Sono troppo emozionato, devo metabolizzare, serve tempo.

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

c'hoçtreß ha scritto: 21/12/2024, 19:48 Sono troppo emozionato, devo metabolizzare, serve tempo.
Intanto che riprendo le energie psico-fisiche per finire (forse) progetto, questa collaborazione con Dario potrebbe inaugurare una nuova rubrica:

Saggi dal wrestling web.
Gli utenti di TW come non li avete mai letti.

Chissà quanti scrittori si nascondono su queste piattaforme, quanti temi da esplorare, quanti lati nascosti da illuminare :godimento:

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Darth_Dario
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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Darth_Dario »

Sono sinceramente emozionato anche io. Non quoto per non appesantire il post, che mi sono anche alzato dal divano e venuto a scrivere al computer, per dire l'importanza.

Cerco di rispondere un po' a tutto, a casaccio come sempre:

-L'approfondimento da scienzologo lo capisco e rimane un mio grosso limite. Non ne sarei stato in grado e tutto sommato la scienza mi interessa fino a un certo punto. Facendo piangere Freud nel paradiso o inferno in cui si trova, io mi sento più artigiano che scienziato e questo saggio è stato prima di tutto una riflessione prima che una ricerca con metodo scientifico. Tuttavia la tesi del tuo amico mi interessa e sembra molto legata, si può leggere?

-Capisco anche la richiesta sul tema di dipendenza da relazioni. Di pancia mi stava venendo da dirti che mi hanno toccato poco nella vita, ma pensandoci qualche secondo mi sono reso conto dell'enorme stupidaggine che stavo per scrivere. Quindi forse è il problema contrario: sono un qualcosa di così intrinseco nella mia vita (di tutti?) che forse non sono, non ero, alla giusta distanza per scriverne.

-La parte dell'assuefazione al disagio te la riformulo così:


In breve: non è assuefazione, è abitudine. Sembra la stessa cosa, ma non lo è. Assuefazione comporta la ricerca attiva di quello stimolo, l'abitudine riguarda più la ricerca attiva dell' evitare qualsiasi cosa di nuovo e quindi potenzialmente sconosciuto e pericoloso. Uso spesso questa scena con i miei pazienti e, ancora più spesso, dico molto chiaramente che se stessero già facendo tutto giusto non avrebbero bisogno di me.

-Capitalismo merda. Ho appena dato le dimissioni dall'azienda in cui lavoravo ed è un mese che lavoro "solo" come psicologo. Sono felicissimo e per esorcizzare sto leggendo "Bullshit Jobs" di David Graeber e ogni due frasi sorrido, impreco e dico "eh cazzo, è proprio così".

Grazie veramente per il tempo che ti sei preso per leggerlo e per il post. E' veramente una sensazione strana per me aver pubblicato (e non autopubblicato, il mio ego ci tiene a sottolinearlo) un libro. La sensazione ancora più strana è quando qualcuno lo legge e mi dice che ha capito qualcosa. Il capitolo che è piaciuto di più per ora tra le persone con cui ho parlato è quello della macchina, che ho scritto tipo in 50 minuti quando ero in ufficio e a mia moglie ha fatto cagarissimo :almostlaughing:

PS: la roba della cipolla il tuo amico l'ha presa da Shrek :party: , almeno non sono il solo a citare i film nel lavoro!

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

L’immagine della cipolla era mia, ma ora che mi ci fai pensare è possibile che l’abbia inconsciamente ripresa da Shrek :mustache:

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da CombatZoneWrestling »

Inklings ha scritto: 22/12/2024, 22:42 Intanto che riprendo le energie psico-fisiche per finire (forse) progetto, questa collaborazione con Dario potrebbe inaugurare una nuova rubrica:

Saggi dal wrestling web.
Gli utenti di TW come non li avete mai letti.

Chissà quanti scrittori si nascondono su queste piattaforme, quanti temi da esplorare, quanti lati nascosti da illuminare :godimento:
Pronto a mandare il mio sulla condizione dei libri della Scapigliatura🤣

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

CombatZoneWrestling ha scritto: 24/12/2024, 17:26 Pronto a mandare il mio sulla condizione dei libri della Scapigliatura🤣
Ecco, non l'ho specificato, ma diciamo che non posso garantire di capire/rendere giustizia ai concetti, le posizioni i temi espressi da tutti Immagine

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

33/52.

A più di un anno di distanza faccio il mio umile tributo a Daniel Dennett, uno dei più grandi filosofi americani che ci ha lasciato proprio ad aprile a 2024.
Anticipo che il prossimo testo è tosto ed è stata veramente una faticaccia provare a spiegarlo e sintetizzarlo (sì, giuro che ci ho provato), quindi a vostro rischio.

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Dennett era un pensatore brillante, un grande scrittore e una fornace di idee. Di difficile inquadramento in una tradizione filosofica precisa, nel corso dei suoi studi si è dedicato prevalentemente alla filosofia della scienza (prevalentemente biologia e neuroscienze) e alla filosofia della mente, proponendo posizioni spesso controverse e controintuitive sui temi della coscienza, del sé e del libero arbitrio (tra gli altri). E' noto anche per aver fondato il gruppo dei New Atheists insieme a Dawkins (suo grande amico e tag team partner), Harris e Hitchens, approcciando il tema delle credenze religiose in una prospettiva naturalistica e scettica.
Dovessi cercare di sintetizzarlo direi che è stato una versione contemporanea di David Hume con un misto di Charles Darwin (che pare abbia deciso di omaggiare con il suo "look"):
Spoiler:
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Autore di decine di libri (spesso notevoli per mole e stile di scrittura), il suo Cosciousness Explained (In Italia l'abbiamo tradotto con un titolo di merda, come potete vedere) del 1991 è forse la sua opera più famosa insieme a Darwin's Dangerous Idea del 1995 (un voluminoso must sulla teoria dell'evoluzione, scritto divinamente anche se con una quantità immensa di osservazioni su cui penso si sia sbagliato). Titolo e obiettivi parecchio ambiziosi: cercare di dare spiegare "cosa sia" e "come funzioni" la coscienza (umana).

Risultato raggiunto? Spoiler: no.

Però il libro rimane molto interessante, perché prova a fare una cosa che oggi i filosofi e gli scienziati provano a fare un po' di più, ma prima di Dennett era pratica ancora poco usuale: cercare di sviluppare un approccio multidisciplinare per affrontare un tema "scomodo" e conteso tra diversi campi del sapere. In questo Dennett, fu un innovatore (e ad oggi forse ancora uno dei migliori giocatori), mischiando sapientemente filosofia della mente, neuroscienze, scienze cognitive, biologia evoluzionistica e informatica per cercare di sviluppare una teoria ragionevole sulla natura della coscienza.

I punti di partenza di Dennett sono fondamentalmente due:

1) non abbiamo bisogno di elementi sovrannaturali (anima, spirito, Dio) per poter render conto della coscienza, perché tutto quello che la riguarda è un fenomeno naturale che può e deve essere spiegato scientificamente (in parole povere, naturalismo)
2) tutto ciò che crediamo di sapere sulla nostra mente è probabilmente sbagliato.

Il secondo punto significa più o meno, secondo Dennett, che la coscienza è fatta (si è evoluta) per “raccontarci delle storie” su noi stessi, e spesso queste storie sono funzionali, ma non veritiere*. Dennett a questo punto propone un approccio che lui chiama eterofenomenologia: prendere sul serio le testimonianze delle persone sulle proprie esperienze soggettive, ma trattarle come dati da interpretare, non come rivelazioni dirette di verità interiori. Il soggetto può raccontare ciò che prova, ma questo non significa che ciò che racconta sia una fotografia trasparente del suo stato mentale perché il cervello crede in certe cose che non esistono, così come l’occhio può vedere illusioni ottiche. Badare bene che questa posizione è in contrasto con la maggior parte delle tradizioni filosofiche occidentali, che vedono nell'esperienza e nella prospettiva in prima persona dei fenomeni come posizione principe del sapere e del vero (con l'eccezione notevole del grande Hume).

A questo proposito, la prima illusione che Dennett vuole smontare è quello che lui chiama teatro cartesiano**, ossia l’idea, ancora molto radicata, che dentro di noi ci sia una specie di piccolo spettatore – un “io” – che guarda un film fatto di immagini mentali, pensieri, suoni, emozioni, tutto proiettato sullo schermo della coscienza, quasi come se ci fosse una cabina di regia interna dove “va in scena” l’esperienza cosciente. Ma questa idea, dice Dennett, è solo una metafora sbagliata, una semplificazione illusoria e un rigurgito di cattive filosofie. Non c’è nessun teatro. Non c’è nessuno che “guarda” dall’interno.

Al suo posto Dennett propone un modello a suo dire più aderente a quanto sappiamo sul cervello e il suo funzionamento, il modello delle versioni multiple (multiple drafts): la coscienza non è un flusso unitario ma un insieme di processi mentali paralleli, una "guerra tra sinapsi" che si aggiornano in tempo reale, si modificano a vicenda, si correggono, si interrompono, si anticipano. La mente cosciente è un “caos ordinato” di bozze narrative, alcune delle quali diventano dominanti, altre spariscono. Un editing continuo, non una narrazione già finita. Il fatto che noi percepiamo questa attività come lineare, coerente, fluida è un trucco evolutivo: il nostro cervello costruisce la sensazione di unità dell’esperienza come un effetto postumo, una ricostruzione utile ma parziale.

In altre parole, l'idea di fondo è che ciò che chiamiamo “coscienza” non è un’entità singola o un teatro interiore dove uno spettatore (l’Io) osserva pensieri, emozioni e immagini mentali, ma un complesso di processi distribuiti e paralleli che, attraverso una serie di “bozze” narrative, si costruiscono una versione momentanea e rivedibile di ciò che sta accadendo, sia dentro che fuori di noi. Nessun centro direttivo, nessuna “regia”, solo tante bozze mentali che competono tra loro, alcune delle quali arrivano a essere rese pubbliche (cioè espresse nel comportamento), mentre altre vengono rimosse o dimenticate.

Tutto questo ovviamente sarebbe un prodotto dell'evoluzione naturale (o se preferiamo, un effetto collaterale), un "trucco" evolutivo. Come funziona questo trucco? In breve: organismi sempre più complessi hanno sviluppato cervelli con funzioni di sistemi di rappresentazione interna, inizialmente limitati e parziali, che permettevano di simulare parti dell’ambiente, anticipare eventi, rispondere in modo flessibile. A un certo punto, l'interazione evolutiva continua di queste simulazioni si è fatta così articolata e ricorsiva da creare modelli di sé stessi nel corso di milioni di anni di affinamento biologcio: rappresentazioni del proprio corpo, delle proprie emozioni, delle intenzioni altrui.***

Ma se siamo cervelli caotici che si sono adatti a dare versioni e sviluppare sistemi di narrazione coerenti delle proprie attività multiple, cosa rimane allora della coscienza, tradizionalmente intesa come un'interiorità in prima persona "al comando" delle proprie funzioni mentali? Un processo dinamico e distribuito di rappresentazione, selezione, integrazione e risposta a stimoli esterni ed esterni, che emerge da molteplici attività cerebrali in competizione e cooperazione tra loro, senza un centro unico né un punto di vista interno, ma che si manifesta come un sistema narrativo fluido, utile all’organismo per orientarsi, decidere e comunicare.

Detta in termini più schematici, secondo Dennett bisognerebbe immaginare il cervello come un hardware, la parte dura coi circuiti e i componenti fisici che "fanno" effettivamente le cose;
la mente come un software, l’insieme dei processi, funzioni, rappresentazioni e strategie che “girano” sul cervello (e che producono comportamento, linguaggio, ragionamento);
e la coscienza (e il sé****) come una sorta di illusione dell'utenza, ossia una percezione derivante dal funzionamento del software che ci fa credere di aver accesso diretto a ciò che accade nella nostra mente (teatro cartesiano), mentre tutto quello a cui abbiamo accesso è solo una versione narrata e ricostruita, dopo che i vari circuiti del nostro cervello hanno già fatto il loro lavoro. Più o meno come quando trascini un file nel cestino e credi di star davvero “spostando” un oggetto fisico mentre quella è solo una rappresentazione visiva (utile a te, ma non "reale").

Insomma non c'è nessuna “stanza dei bottoni mentale” in cui il nostro "io interiore" fa le cose e dove gli eventi mentali accadono. C’è solo il cervello (o meglio i tanti cervelli nel nostro cervello) che costruisce, momento per momento, una rappresentazione operativa, e che poi ci racconta che “ci è sembrato” di aver vissuto qualcosa. E questo ovviamente varrebbe per tutti gli eventi mentali, dalla sensazione del dolore alla memoria di un’infanzia felice, fino all’apparente libertà nel prendere una decisione difficile. Quindi: quando diciamo “io ho deciso”, o “io provo dolore”, non stiamo esprimendo una qualche particolare verità metafisica, ma un modo funzionale di descrivere il comportamento di un sistema complesso*****. Dennett non vuole negare che proviamo davvero sensazioni o prendiamo decisioni: vuole solo che smettiamo di trattare l’esperienza soggettiva come qualcosa di misterioso o metafisicamente separato dal resto della natura. Il dolore, per esempio, non è una cosa “pura” che vive dentro di noi: è un processo funzionale, fatto di segnali d’allarme, fibre C che si eccitano, emozioni, attenzione, memoria, linguaggio – e solo alla fine, una volta che tutto questo è stato “assemblato”, noi diciamo: “sto provando dolore”.

In tutto questo, la nostra coscienza è un’interfaccia utente, fatta per dare l’impressione che ci sia coerenza, centralità, continuità. Ma sotto il tappeto, c’è tutta un’altra storia: disordinata, distribuita, contingente, parziale.

Ora, comprensibilmente sta cosa ha fatto incazzare molta gente e alzare gli scudi a parecchi pensatori, che hanno accusato Dennett di non spiegare davvero la coscienza, ma di eliminarla semplicemente dall'equazione, trattandola come mera illusione o epifenomeno rispetto ai "veri" processi naturali. Alcuni mattacchioni popolarizzarono l'espressione Cosciousness Explained Away per prendere in giro le sue ipotesi; ma al di là dello scherzo, è vero in fondo che Dennett paia circumnavigare il problema piuttosto che tematizzarlo adeguatamente.

Perché può pure essere che la coscienza, le sensazioni, i dolori, l'identità personale e simili siano fondamentalmente complesse illusioni generate come sottoprodotto evolutivo e mentale di processi "meccanici" sottostanti. Ma è anche vero che sono proprio quelle cose a guidare i nostri comportamenti e le nostre scelte, ad essere "reali" per noi. Mettiamo pure che la sensazione di dolore sia solo un effetto collaterale di circuiti neuronali che segnalano danni tissutali e modificano il comportamento per proteggere l'organismo. Resta comunque il fatto che quella sensazione ci fa urlare, cambiare postura, evitare esperienze simili in futuro, piangere, maledire l’universo e prendere la tachipirina (e questo vale ovviamente per ogni animale che provi dolore). È un fatto vissuto, pesante, centrale nella nostra esperienza quotidiana. Allora, anche ammesso che sia “solo” un’illusione utile, è un’illusione che agisce, che plasma il comportamento, che costruisce il senso stesso di ciò che chiamiamo “vita cosciente”.

E questo, per molti critici di Dennett, è il punto debole: non basta dire che la coscienza è una finzione utile, se poi questa finzione è ciò su cui poggia tutta la nostra vita mentale e morale. La paura, il dolore, il desiderio, la tristezza, l’amore, non sono semplici metafore funzionali, ma le strutture portanti della soggettività. Dire che sono illusorie rischia di ignorare il fatto che esse fanno davvero la differenza nei nostri comportamenti e nelle nostre esistenze. Per fare un esempio, sarebbe un po' come se un biologo, per spiegare la nutrizione e la digestione, analizzasse ogni singolo enzima, ma poi concludesse che la fame non "esiste" o non è così importante.
Insomma se queste qualità soggettive dell’esperienza che proviamo sono “inesistenti” o riducibili a semplici funzioni, perché allora sembrano costituire l’intero contenuto della nostra esistenza cosciente e formare "il cuore pulsante" dell’esperienza umana?

Dennett ci dice che non serve postulare entità magiche per spiegare l’intensità dell’esperienza. Il fatto che qualcosa “ci sembri” reale e vivido è spiegabile, in linea di principio, come effetto evolutivo di sistemi cognitivi capaci di rappresentare il mondo (e se stessi) in modi complessi e narrativi. E che il fatto che ci sembri inspiegabile è un bug dell’introspezione: un limite, non una prova metafisica. E sono tutte cose su cui si pouò essere d'accordo (almeno in linea di principio). Ma il problema è che Dennett sembra dissolvere la coscienza nella spiegazione funzionale, al punto che finita la lettura si ha l’impressione di ritrovarsi con tutto tranne che la coscienza stessa.


Dennett per me è stato un amico-nemico, un scrittore e pensatore che adoravo leggere anche se non mi ritrovavo praticamente mai nelle sue posizioni, un maestro da cui ho imparato tanto (e che ha plasmato tanto i miei interessi di studio) mantenendo sempre un atteggiamento di scetticismo e debbio metodico sulle sue parole come se mi stessi trovando di fronte a un abile affabulatore. E penso che questo tipo di lettore, per un "maestro del sospetto" come lui, fosse probabilmente quello che gli piaceva di più.
A un anno di distanza penso che la sua morte lasci un vuoto profondo nella filosofia contemporanea, non tanto per le idee e teorie che ha proposto (che sono comunque tante e alcune certamente valide), ma per l'approccio ai problemi che ha tenuto nel corso di tutta la sua carriera, che univa assieme rigore e creatività, profonda serietà e altrettanto profonda ironia, metodo scientifico e riflessione filosofica, chiarezza espositiva e volontà di confronto soprattutto con le posizioni più lontane dalla propri.a

Addio Danny, grazie di tutto.


NOTE:
Spoiler:
* Ne sono un esempio i famosi bias, prima o poi porterò anche Kahneman sul tema.
** Perché derivante dal problema dell'homunculus derivante dall'interpretazione che Cartesio dà dell'esperienza in prima persona nel suo Trattato sull'uomo. Per farla breve, se immaginiamo che dentro la nostra testa ci sia una sorta di attore interiore che vede e seleziona i contenuti, poi dovremmo fare lo stesso con quell'attore interiore e così via, in una regressione infinita.
*** Nel libro dedica moltissime pagine ai temi della biologia evoluzionistica, che io qui taglio per questioni di spazio e tempo. Ci sono tantissime intuizioni interessanti e originali sulle cose più disparate, dall'evoluzione della percezione allo sviluppo del linguaggio (cosa che in generale vale più o meno per tutti i libri di Dennett: se anche la posizione principale ti fa cagare nel percorso per arrivarci è probabile che almeno 3/4 della decina di suggestioni/concetti siano comunque interessanti)
**** Uno dei punti più controversi epiù affascinanti del libro è la decostruzione del concetto di "sé". Per Dennett, il sé non è un’entità, ma un centro di gravità narrativa, ossia unna finzione utile, come il “punto medio” di un oggetto o la “linea dell’equatore”, in cui convergono tutte le narrazioni sviluppate e auto-sviluppate nel corso della nostra esperienza. Il nostro io, in altre parole, è un racconto che ci raccontiamo su noi stessi, una processo narrativo evolutivamente vantaggiosa, capace di integrare motivazioni, memorie, intenzioni, ma senza alcun nucleo stabile dentro di noi.
***** Qui ci sarebbe tutto il tema dei qualia, che sono un ambito della filosofia della mente su cui i filosofi dibattono ferocemente da secoli. A me fa cagare come discussione, quindi evito, nel caso siate interessati (ma non lo consiglierei manco al mio peggior nemico) trovate tutto qua: https://plato.stanford.edu/entries/qualia/
Ultima modifica di Inklings il 02/08/2025, 1:07, modificato 4 volte in totale.

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Re: I Saggi del Cuore: letture e idee che lasciano un segno

Messaggio da Inklings »

Non so perché ma il nuovo saggio postato invece di essere un nuovo post risulta una modifica di quello prima, cancellandomi quello precedente sul libro di Murkerjee .:smile6:.

Non l'avevo salvato dalle altre parti e purtroppo è perso (a meno che qualche modo non riesca miracolosamente a recuperarlo), l'unica cosa positiva è che non era molto ispirato.

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